The Good Place: Kristen Bell in paradiso, dal creatore di Parks and Rec! di Diego Castelli
Una commedia a tutta fantasia per l’ex Veronica Mars
Cosa succede se finisci in paradiso per errore, quando in realtà dovevi andare all’inferno?
Questo il semplice ma accattivante concept di The Good Place, nuova comedy di NBC che, giusto per aggiungere un po’ di pepe, potrebbe essere riformulato così: che succede se Kristen Bell è destinata all’inferno ma finisce invece in paradiso, dove incontra Ted Danson, e insieme se ne vanno in giro guidati dalla sceneggiatura di Michael Schur, co-creatore di Parks and Recreation e Brooklyn Nine-Nine?
Ecco, così diventa un po’ più macchinoso, ma ancora più interessante per il serialminder di passaggio che drizza le orecchie di fronte a nomi che conosce e stima.
Che poi “paradiso” non è il termine esatto. The Good Place, che inizia con la protagonista già morta e in attesa di essere ricevuta da un qualche tipo di funzionario dell’al di là, descrive un oltretomba tutto particolare e in buona parte diverso da quello ipotizzato dalle principali religioni. È un posto in cui un numero assai esiguo di persone buonissime può andare nel good place, composto da quartieri studiati appositamente per la felicità dei loro ospiti, mentre la maggior parte della gente, non abbastanza pura per guadagnarsi il “posto buono”, finisce nel “bad place”, in cui si sta di merda.
Come detto, la protagonista Eleanor (interpretata dall’ex Veronica Mars e House of Lies) non doveva andare nel good place, perché in vita era niente più che una stronza egoista a cui non fregava niente di nessuno, ma il povero Michael, l’architetto del quartiere a lei destinato (il Ted Danson di Cheers, Becker, Damages, Fargo ecc ecc), ha fatto qualche errore burocratico, salvando dall’inferno una che non lo meritava e che ora vuole fare tutto il possibile per non farsi scoprire.
The Good Place funziona in primo luogo perché è piena di idee. Aiutati da un concept fantasy che lascia molto spazio all’immaginazione, Schur e compagni mettono sul piatto una lunga serie di invenzioni piccole e grandi, che dettagliano la struttura sociale dell’al di là, le caratteristiche dei suoi abitanti, il lavoro certosino di Michael, in uno strano miscuglio fra Prossima Fermata Paradiso e Matrix.
Se gli amanti delle storie fantastiche possono godere di una gran mole di dettagli e storielle curiose (che non voglio nemmeno elencare troppo, perché è bello scoprirli), gli autori non dimenticano di porsi problemi più strutturali che vengono risolti con semplicità ed eleganza: per esempio, il fatto che la permanenza di Eleanor nel good place funzioni come un virus, un elemento disturbatore della precisione del disegno di Michael, è un escamotage che assolve a molteplici funzioni: permette di inventarsi un sacco di incidenti divertenti, sprona la protagonista a migliorarsi per ridurre al minimo il rischio di incidenti (diventando più buona riduce il disturbo), introduce un ulteriore dose di suspense oltre a quella garantita dal semplice segreto della natura “estranea” di Eleanor.
In aggiunta alla sua efficacia meramente tecnica e narrativa, e nonostante un tono leggero e spensierato come impone la comedy generalista, The Good Place non manca nemmeno di proporre un inaspettato spessore mistico e fisolofico: se la superficie è quella di una favola morale, in cui un antieroe pieno di difetti impara a migliorarsi per meritarsi la ricompensa finale, è altrettanto vero che gli autori disseminano il good place di alcune interessanti stonature. Gli abitanti del quartiere sono buoni al limite dello stucchevole, le scenografie volutamente esagerate e finte, l’architetto troppo poco equilibrato: c’è insomma un tremolio dissonante in questo strano paradiso, e la protagonista, nel suo percorso verso la luce, sembra destinata a trovare in realtà un equilibrio fra i rigidi paletti morali del good place e un elemento di ribellione e oscurità che finisce col rappresentare il divertimento, la creatività e l’arte, contrapposti a un conformismo in definitiva deprecabile (non a caso ci viene detto che moltissimi artisti e personalità di spicco della storia umana sono finiti nel bad place). Sarà dunque interessante scoprire come evolverà il percorso di crescita di Eleanor, in un’ambientazione che può dare ancora molto in termini di invenzioni e sorprese (anche perché del bad place sappiamo poco e niente, e nel finale del doppio pilot viene anche inserito un ulteriore elemento di mistery e gossip).
Tutto bene, tutto figo, serie dell’anno? In realtà qualcosa manca ancora. Alla fine di questi primi quaranta minuti, nonostante una evidente soddisfazione, non mi è riuscito di gridare al miracolo, mi è mancato quel di più con cui le grandi serie riescono a farsi strada fino al cuore del serialminder per metterci radici e non muoversi più. Per quanto paradossale, imputo questo piccolo intoppo all’eccessiva “perfezione” della sceneggiatura. Come detto, la storia è calibrata al millimetro, spiegata con cura, raccontata con precisione, orchestrata con logica stringente e progressione quasi geometrica. Ma proprio per questo, le manca il guizzo. In parte è anche un problema di ritmo, troppo compassato in certi punti troppo spiegati, ma è soprattutto la mancanza di una certa spontaneità: in qualche modo finiamo col “vedere” la sceneggiatura, e il fatto che sia una bella sceneggiatura non toglie la sensazione di qualcosa di costruito, che dovrebbe trovare maggiore spontaneità. Per fare un esempio fra le serie già citate, anche Parks and Recreation era una serie definita fin nel più piccolo dettaglio, ma lasciava comunque l’impressione che i personaggi potessero fare cose pazze, spiazzare completamente lo spettatore e la telecamera. Questo in The Good Place ancora non succede, tutti fanno il loro compitino con precisione ed efficacia, ma in maniera ancora un po’ scolastica.
Ma come ogni studente un po’ rigido, a The Good Place bisogna dare fiducia, perché c’è tanta potenzialità e pretendiamo che sia approfondita come si deve.
Perché seguire The Good Place: un concept semplice ma pieno di potenzialità, tante idee e un cast ispirato.
Perché mollare The Good Place: per il rischio che, per fare tutte le cose a modino, non tutte quelle potenzialità vengano sfruttate.