Abbiamo visto in anteprima Stranger Things, la serie Netflix che sembra I Goonies di Diego Castelli
Citazionismo anni Ottanta come se non ci fosse un domani
NON CI SONO SPOILER RILEVANTI
La cosa è andata così: questo fine settimana arriva la prima stagione di Stranger Things, così abbiamo chiamato quelli di Netflix e gli abbiamo chiesto “ci fate vedere il pilot in anteprima?” e loro hanno detto di sì. Brave persone.
In verità ci hanno messo a disposizione tutta la stagione (bravissime persone), però in quel momento non avevo tutto il tempo necessario e non c’erano i sottotitoli in nessuna lingua (che ovviamente ci saranno all’uscita, no paura), motivo per cui ho deciso di limitarmi al primo episodio, per poi prendermela comoda.
Creata dai fratelli Matt e Ross Duffer (già parte degli sceneggiatori di Wayward Pines), Stranger Things ha per protagonista Winona Ryder ed è un dichiaratissimo (ma issimo issimo) omaggio a una precisa tradizione di film anni Ottanta, tipo i Goonies o Stand By Me, dove un gruppetto di ragazzini finisce invischiato in una storia di mistero/fantascienza/magia declinata ora in commedia, ora in thriller, ora in avventura.
Per quanto riguarda la mia personalissima percezione, Winona Ryder è inscindibile da Beatlejuice, il film di Tim Burton del 1988. Tutto il resto non mi interessa. Sì ok, ci sono Edward mani di forbice, Dracula, Ragazze interrotte, il quarto Alien, Il cigno nero. Se è per quello c’è pure la cleptomania e il gossip.
Vabbè non volevo fare il previously on Winona Ryder, era per dire che trovo solo giusto vedere quella faccia lì in un racconto che si ispira alle atmosfere degli anni Ottanta.
E sul fatto che si ispiri, beh, non c’è dubbio alcuno. Ambientata proprio nel 1983, Stranger Things racconta di un ragazzino che sparisce, rapito da una strana creatura di cui cogliamo solo i contorni umanoidi, e alla cui ricerca si mettono la madre (Winona), il fratello, la polizia, il gruppetto di amici nerd con cui giocava a Dungeons & Dragons, e anche un misterioso gruppo di scienziati capitanati da Matthew Modine, che è già sulle tracce di una strana bambina fuggita dal laboratorio e in possesso di strani poteri telecinetici (interpretata da Millie Bobby Brown, già vista in Intruders).
Giusto per capirci fino in fondo, ecco un elenco (senza spoiler significativi) di un po’ di elementi che troverete in Stranger Things e che potrebbero far stringere il cuore degli over-trenta alla lettura:
-Gruppetto di amici che vanno in giro in BMX e giocano a Dungeons & Dragons finché la madre non gli dice che è tardi.
-Bambino sfigato che ha una cotta per la sorella grande del suo amico.
-Colonna sonora a metà fra elettronica e Cristina D’Avena.
-Pomiciate nei bagni della scuola.
-Pantaloni a vita altissima (che fra l’altro stanno tornando in auge, portati dalle stesse persone che due anni fa si sarebbero suicidate piuttosto che indossarli – la moda non la capirò mai…).
-Bullismo scolastico, ma roba blanda, non si va nel penale diciamo.
-Residui melmosi e tentacolari di creature mostruose (un po’ Alien, un po’ Predator, un po’ Ghostbusters).
-La cittadina di provincia con lo sceriffo che improvvisamente si trova a gestire una situazione difficilissima, lui che fino all’altro ieri si occupava di furti di caramelle al mercato.
-Ragazzini eroi pronti a tutto per dare una mano ma ostacolati dalla polizia adulta e guastafeste.
-Avventure nei boschi.
-Cospirazioni governative che coinvolgono (forse) alieni, o comunque mostri strani.
-Padri con occhiali grossi così, camicioni vintage, e flemma tipica del genitore scazzato che pensa solo al weekend.
-Altre pomiciate con Africa dei Toto in sottofondo.
-Una locandina fumettosa che sembra un incrocio fra La Storia Infinita e I predatori dell’Arca Perduta.
Rileggendo la lista mi rendo conto che potrebbe suonare derisoria. Non è così, perché il pilot di Stranger Things è godibilissimo, però bisogna sapere a cosa si va incontro. I fratelli Duffer prendono, rimasticano e ripropongono non solo l’immaginario e gli elementi contestuali degli anni Ottanta, ma anche quello specifico modo di raccontare, cosa che li differenzia da altre serie nostalgiche ma che non rinunciano all’impostazione narrativa e visiva della contemporaneità (penso per esempio a Halt & Catch Fire, a The Americans, o a sitcom come The Goldbergs). Alla stregua di Super8 di J.J. Abrams – un film meno famoso e amato di quanto meriterebbe – Stranger Things è un omaggio agli anni Ottanta anche e soprattutto perché ne ha l’immagine, il suono e il sapore: la scrittura dei Duffer introduce i personaggi, li muove e li fa entrare in conflitto proprio come si faceva una volta, e lo stesso dicasi per la messa in scena, che crea la suspense o l’ironia con lo stesso gusto semplice e diretto di tanti family movies di quegli anni.
Il risultato è un pilot (e, speriamo, una serie) che rifugge le complicazioni, gli arzigogoli e i ritmi spesso lenti tipici della narrazione postmoderna, per tornare a un racconto chiaro e semplice, in cui alcuni elementi apparentemente banali trovano però il loro senso in una cornice scanzonata e citazionista difficilmente equivocabile.
Abituati come siamo a cercare l’”arte” nelle serie tv, pur nella consapevolezza della loro natura intimamente commerciale, probabilmente faticheremo a trovare il lato puramente artistico di Stranger Things, nella misura in cui nell’arte ricerchiamo un elemento di novità e progresso che la serie di Netflix non ha e non vuole avere. Siamo però dalle parti dell’alto artigianato, dove due abili e appassionati operai hanno preso tutto ciò che funzionava nei film di trent’anni fa (che ancora oggi consideriamo dei cult assoluti), cercando di riproporlo con lo stesso gusto, solo un po’ aggiornato agli sguardi degli spettatori di oggi.
Al netto di twist stilistici al momento imprevedibili, l’elemento per ora più sospeso è il tono: Stranger Things è costantemente sospesa tra l’avventura, la commedia e il mistery-horror, in un equilibrio anch’esso tipico di molto cinema anni Ottanta, ma che sulla distanza degli otto episodi potrebbe finire col pendere in maniera più decisa da una parte o dall’altra. Qui dentro c’è una delle poche critiche che il mio cuore nostalgico sente di muovere a questo episodio, dove l’incastro fra leggerezza e suspense non è sempre calibrato con precisione assoluta, causando due-tre momenti di leggera frustrazione.
Ma è poca roba, per il resto me lo sono goduto alla grande e ho proprio voglia di guardare tutti gli altri.
Perché seguire Stranger Things: perché l’omaggio agli Ottanta non si limita al citazionismo, ma anche al cuore di una storia semplice, godibile, appassionante e divertente.
Perché mollare Stranger Things: se da una serie tv di qualità cercate la sperimentazione, la novità e lo spiazzamento, sappiate che Stranger Things corre velocissima nella direzione opposta.