The Night Of: la nuova serie di HBO è bella sul serio di Diego Castelli
Tanta roba
The Night Of, nuova miniserie crime-legal di HBO, debutterà ufficialmente domenica prossima, ma il pilot è già disponibile da qualche giorno.
Ed è bello.
Ma bello sul serio.
La serie è ispirata a Criminal Justice, show inglese del 2008 creato da Peter Moffat (The Village), ed è adattata per gli Stati Uniti da Richard Price (sceneggiatore di Ransom-Il riscatto, di alcuni episodi di The Wire, e pure del video di Bad di Michael Jackson) e Steven Zaillian, sceneggiatore premio oscar di alcuni film minori e semisconosciuti come Schindler’s List, Gangs of New York, American Gangster, L’arte di vincere e altri. Zaillian, fra l’altro, è il regista di numerosi episodi di questa prima stagione (o unica? boh).
Ora, purtroppo non ho visto l’originale inglese, uscito peraltro in un periodo pre-Serial Minds, ma leggendo qua e là vedo che la trama della prima stagione è abbastanza simile al pilot che ho appena visto: Nasir, un ragazzo tranquillo, di buona famiglia, un secchione di origine pakistana timido e impacciato che aiuta gli atleti fighi e beoti della scuola a passare gli esami di matematica, viene invitato ad una festa piena di donne e figaggine. L’amico con cui vorrebbe andarci (e che dovrebbe scarrozzarlo) gli dà buca, così lui prende “in prestito” il taxi del padre per andarci da solo. Prima di arrivare al party conosce però una ragazza bella e misteriosa che si fa desiderare ben più della festa: la ragazza lo porta a casa sua, ci fa un po’ di bisboccia, lo fa ubriacare e drogare e se lo porta sotto le coperte. Qualche ora dopo, Nasir si sveglia in cucina un po’ confuso, torna in camera da letto per recuperare i suoi vestiti e andarsene, e trova la ragazza morta. Nel giro di poco tempo, tutto dentro il pilot, l’impacciato Nasir viene pizzicato dalla polizia che lo arresta sospettandolo di omicidio. L’episodio si chiude con l’incontro fra Nasir e quello che sarà il suo avvocato difensore, interpretato da John Turturro.
L’ho fatta un po’ lunga perché volevo sottolineare una cosa: il concept di The Night Of è tutto sommato banalissimo, un compendio di molti temi e situazioni tipici del poliziesco e del noir: l’ambientazione per lo più notturna, un protagonista ignaro e indifeso, una donna affascinante e misteriosa che in qualche modo lo “raggira”, un avvocato sveglio e svelto ma di buon cuore, un’accusa pesante e (forse) infondata.
A colpire non è dunque l’originalità dell’idea, bensì uno stile preciso di scrittura e messa in scena. L’atmosfera di The Night Of è estremamente onirica e sospesa, nella misura in cui le ombre notturne accompagnano il protagonista in un viaggio silenzioso e inquietante, dove l’incontro con l’affascinante ragazza ha tutte le caratteristiche del sogno e dell’illusione. In questa prima fase, gli autori usano tutti gli strumenti in loro possesso per farci affezionare alla figura di Nasir, studente goffo e timido per cui facciamo subito il tifo, comprendendo le sue difficoltà a livello sociale, date un po’ dal suo carattere e un po’ dai pregiudizi della gente nei confronti del colore della sua pelle (e l’elemento razziale non è secondario, in una serie del 2016 che spinge i suoi spettatori a immedesimarsi in un figlio di immigrati).
Allo stesso tempo, accanto a questa sensazione di sospensione, entra in gioco un crudo realismo burocratico e procedurale, che ci mostra il comportamento delle forze dell’ordine e i luoghi della sua azione in modo freddo e meccanico, senza tralasciare la vuota desolazione della stazione di polizia, i suoi irritanti tempi di attesa, la placida ordinarietà con cui molti funzionari affrontano il caso di omicidio. Non siamo insomma nel mondo patinato dei polizieschi generalisti, dove squadre di investigatori geniali e bellocci danno sfoggio della propria intelligenza dentro uffici colorati e glamour, scambiandosi battute sagaci da dietro un bicchiere di Starbucks. Qui no, qui siamo (o ci sembra di essere) nella realtà di uffici vecchi e bui, di cellette piccole e scomode, di scartoffie e procedure lunghe e pesanti.
Eppure la tensione, in questi 78 minuti di pilot, non manca mai. E non manca perché il lavoro congiunto della sceneggiatura e della regia non dimentica di sottolineare in ogni momento che, per Nasir, sta per andare tutto in merda: giocando anche sulle nostre esperienze di spettatori (perché di poveracci coinvolti in problemi più grandi di loro ne abbiamo visti a decine), Price e Zaillian ci fanno subito capire che tutte le scelte di Nasir lo porteranno al disastro, e lentamente cominciano a sommare tutta una serie di piccoli dettagli, piccole e grandi deviazioni dal percorso immaginato dal ragazzo, che piano piano lo conducono verso un abisso in cui Nasir è spettatore privilegiato eimpaurito, incapace di reagire e di trovare una via d’uscita mentre vede la situazione precipitare letteralmente intorno a lui.
Nel farlo, una lunga serie di particolari viene portata all’attenzione dello spettatore, che è spinto a notare determinati elementi (macchie di sangue, vetri rotti, immagini di telecamere di sorveglianza) che verosimilmente saranno importanti pezzi del legal-puzzle successivo, e che ora hanno soprattutto la funzione di dirci “occhio perché qui succedono cose brutte”.
È un episodio che lentamente costruisce una gabbia, anzi una trappola, in cui il povero Nasir finisce con tutte le scarpe. Messi nella condizione di vedere o quantomeno intuire i problemi che il protagonista dovrà affrontare, assistiamo con crescente disagio alla sua discesa agli inferi, sperando che qualcuno possa aiutarlo, pur nella consapevolezza che la montagna di sterco che gli sta lentamente colando addosso rischia inesorabilmente di soffocarlo.
Ed è proprio qui, nel momento non solo di massima tensione, ma anche di massimo sconforto, in cui la macchina poliziesca sembra aver già tritato e masticato perfino l’anima di Nasir, che compare John Turturro. Il suo Jack Stone (e già il cognome, “pietra”, dice qualcosa della sua funzione narrativa) arriva come una boccata d’aria fresca, un’àncora a cui aggrapparsi per uscire dalle sabbie mobili delle domande, delle impronte, delle perquisizioni.
Tentati di compatire con freddezza il personaggio di Nasir, che in certi punti ci pare fin troppo ingenuo e remissivo, siamo in realtà coinvolti dalla consapevolezza che la paura e il panico possono bloccare chiunque, almeno finché qualcuno non mostra una possibile luce in fondo al tunnel.
Il pilot di The Night Of ci lascia dunque con la soddisfazione di aver visto un episodio preciso in ogni suo dettaglio e riferimento interno (a elencare tutte le finezze ci vorrebbero tre articoli), ma che oltre al piacere puramente intellettuale di osservare un ingranaggio perfettamente concepito ci dà anche l’emozione dell’avventura, della sfida contro l’impossibile, qui rappresentato da un’accusa apparentemente insormontabile.
In questi giorni qualcuno sta già paragonando The Night Of a True Detective. In parte capisco la tentazione, perché siamo su HBO e perché indubbiamente siamo di fronte a un poliziesco diverso dal solito, che partendo da un concept abbastanza semplice si prende il tempo di dare un peso forte all’ambientazione e all’atmosfera, e trova un suo modo specifico di raccontare. Allo stesso tempo, mi pare che The Night Of abbia però un rigore narrativo, una precisione nella costruzione degli eventi e degli incastri, che True Detective invece considerava meno importante rispetto al carisma mistico-filosofico dei suoi protagonisti. Insomma, qualità potenzialmente simile ma strade diverse.
Paragoni a parte, che possono essere fuorvianti e pure ingenerosi, a me il pilot di The Night Of è piaciuto abbestia, e attendo con estrema ansia il secondo episodio nella speranza che sappia subito confermarsi.
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Perché seguire The Night Of: è un prodotto maturo e dallo stile precisissimo, un pilot semplice nelle sue dinamiche ma che rimane negli occhi a lungo.
Perché mollare The Night Of: per quanto non difficile da capire o metabolizzare, è un pilot lento e cupo, che difficilmente può essere considerato “intrattenimento leggero”.