Silicon Valley: anche la terza stagione è un gioiellino di Diego Castelli
Recuperatela subito se ancora non l’avete fatto
Ci tenevo proprio a dire qualche parola dopo il finale di stagione di Silicon Valley. Della comedy di HBO ha già parlato due volte il Martino in passato (trovate gli articoli qui e qui), perciò evito di dilungarmi in descrizioni preliminari e quant’altro.
Mi interessa però sottolineare nuovamente, alla fine della terza stagione e con una quarta già confermata, che Silicon Valley è una figata e che se non la state seguendo vi state facendo del male senza saperlo.
Della tradizione comica di HBO, che ha una storia di commedie sempre ricercate e mai sguaiate, Silicon Valley conserva e amplia una struttura che procede su due binari apparentemente paralleli: da una parte la semplicità del concept di base, dall’altra la capacità di arzigogolarlo in maniera imprevista e spesso sorprendente.
Di fatto, l’idea alla base di Silicon Valley è semplicissima: un ragazzo geniale ma socialmente inadeguato prova a sfondare in un mondo che dovrebbe apprezzare solo il suo genio, ma che spesso premia invece il cinismo, l’arrivismo e la spietatezza.
Tutto qui. Questo è tutto quello che serve sapere per appassionarsi alla vicenda di Richard, ragazzo molto distante dallo spettatore (per il genio e per le cose che fisicamente dice, spesso incomprensibili ai non addetti ai lavori) e contemporaneamente molto vicino, per la capacità di risvegliare in chi lo guarda quel senso di inadeguatezza che tutti noi abbiamo provato almeno una volta nella vita, anche se siamo surfisti di professione con gli addominali scolpiti e i capelli biondi pieni di salsedine.
Su questa idea di base si costruisce poi un percorso che si popola di personaggi, di ostacoli, di improvvise accelerazioni, che giocano coi trucchi più classici della suspense e della sorpresa per dare al tutto una solidità narrativa e di scrittura che altre comedy, specie sulla tv generalista, possono permettersi molto di rado (o magari non sono semplicemente capaci, va da sé…).
L’episodio finale della terza stagione è, in questo senso, magistrale: erano ormai diverse settimane che, in maniera più o meno sottile, gli autori capitanati da Mike Judge stavano disseminando indizi sul fatto che Pied Piper non sarebbe stata in grado di sfondare come previsto. Complici ottime scelte tecniche ma pessime scelte di comunicazione, Richard e compagni stavano rapidamente perdendo colpi, e la serie non sembrava offrire grande appiglio verso una risoluzione positiva: anzi, ogni volta che si arrivava a una piccola vittoria, subito ci veniva mostrato il dietro le quinte meno luccicante, dove l’inganno e il sotterfugio minavano le fondamenta apparentemente solidissime.
Si è così arrivati allo scontro definitivo fra Richard e Bachman, il secondo questa volta solo vittima delle debolezze del primo, incapace sia di portare fino in fondo la sua frode (che gli avrebbe fruttato milioni) sia di fermarla sul nascere, quando avrebbe fatto meno danno.
Sembra tutto perduto, poi nel finale il twist: alla riunione per la vendita di Pied Piper, uno sconfortato e sconfitto Richard scopre che il migliore offerente è proprio Bachman, che investe nella compagnia i soldi ottenuti dalla vendita del blog.
Ma se questo è il twist narrativamente più importante, non è quello emotivamente più carico: perché subito dopo aver salvato Pied Piper Bachman affronta Richard e lo mette davanti a un fatto apparentemente definitivo: la loro amicizia è distrutta, e servirà tanto tempo prima che Bachman possa ancora fidarsi del protagonista.
Stacco, e i due sono tornati amiconi nel giro di venti minuti.
Capisco che a scriverlo non venga granché, ma a video questa cosa è geniale: geniale perché sembra una scelta di comodo, un guizzo stupidone per far finire tutto a tarallucci e vino, ma in realtà è del tutto coerente con il percorso dei personaggi e con la loro psicologia. Non era la prima volta che vedevamo Richard preso dai sensi di colpa o incapace di produrre il dovuto cinismo necessario per sopravvivere nella vasca degli squali. E di certo non era la prima volta che vedevamo Bachman – arrogante, buzzurro e incapace ma non privo di cuore e sentimenti – fare un gesto altruista per i suoi amici.
Un finale così concepito mette solide basi per la quarta stagione, ma soprattutto ci fa applaudire per il modo in cui i personaggi hanno confermato la loro natura: quella di nerd assurdi e surreali, ma uniti da una lealtà e un’amicizia che non possono non scaldare il cuore dello spettatore.
Accanto alla solidità della scrittura, che in queste settimane ha tessuto trame e tramine incastratesi alla perfezione (l’esempio più evidente è la videochat, per mesi semplice sottotrama e poi diventata l’ancora di salvezza di tutta la compagnia), la forza di Silicon Valley sta proprio nei suoi personaggi: caratterizzati in maniera feroce, al limite della macchietta – qualcuno ha detto, non senza ragione, che quelli di Silicon Valley sono i nerd veri, contrapposti ai nerd edulcorati e mainstream di The Big Bang Theory – i personaggi di Mike Judge hanno però la capacità di smarcarsi costantemente dalla loro totale e divertentissima nerditudine, per mostrare tratti riconoscibili da chiunque, sia nel senso altruistico e sociale del termine, sia nel senso di una fragilità e di una debolezza con cui è facile rapportarsi, anche quando non capiamo tre quarti di un certo dialogo o di un certo joke.
Alla fine, il segreto delle migliori comedy è questo qui: far ridere lo spettatore con ritmo, creatività e tormentoni ai limiti dell’assurdo – gli animali di Gavin, le inutili “boxes”, le meravigliose prese per il culo di Gilfoyle, la rozzezza volgarissima di Bachman – ma contemporaneamente farlo affezionare a delle figure che, pur essendo fondamentalmente “macchine da battuta”, mostrano anche i tratti di una tenerissima umanità.