10 Giugno 2016 9 commenti

Unreal seconda stagione: i nani, l’indignazione e l’intelligenza di Diego Castelli

Perché sì, dalle serie tv si può imparare qualcosa

Copertina, I perché del mondo, On Air

Unreal (2)

L’anno scorso il Villa recensì il pilot di Unreal, una bella serie di Lifetime (e “bella serie di Lifetime” non si sente spesso) in cui si raccontava il dietro le quinte di un reality che era la copia sputata di The Bachelor.
In pratica, una sceneggiatrice che aveva lavorato a The Bachelor, Sarah Gertrude Shapiro, ha scritto una serie cattivissima in cui il lavoro dietro la realizzazione del programma veniva dipinto come un ammasso scuro e viscido di cinismo e cattiveria.
Uno squarcio niente male sul mondo della tv e i suoi oscuri segreti, anche se ovviamente, per stessa ammissione dei creatori, Unreal non va in alcun modo preso come un documentario, quanto piuttosto come una versione romanzata di un mondo che è ben meno rosa e confettoso di quanto appaia sullo schermo.

La prima stagione di Unreal è stata all’altezza di quel pilot, pur nelle sue derive molto soappose e pruriginose, e anche il primo episodio della seconda si è inserito nel solco tracciato l’anno scorso. Le due protagoniste femminili, Rachel e Quinn, hanno rinsaldato il loro rapporto e sono tornate sulla cresta dell’onda, anche se vecchi capi e vecchi (dimagritissimi) spasimanti non ci stanno a rimanere da parte e promettono battaglia per riguadagnare un posto in prima fila.
Detto tutto questo, in condizioni normali forse non avremmo riparlato di Unreal, nella convinzione che le cose fondamentali sono già state dette.

Trovo però giusto tornare sull’argomento anche a fronte del recente mini-scandalo creato da quella fuga di notizie sul casting Rai, ce l’avete presente? Giusto per riassumere, il problema era sorto a seguito della pubblicazione su facebook, da parte della responsabile del cast di una società coinvolta nella produzione della prossima miniserie di Francesca Archibugi, di un annuncio in cui si cercava “ragazzo di 15/18 anni nano o con altra disabilità che trasmetta tenerezza”.
Immediate erano state le reazioni indignate della stessa società di produzione, della Rai, della regista ecc ecc. Senza contare la pioggia torrenziale di commenti indemoniati da parte di spettatori e lettori che in quel messaggio trovavano i germi di un insopportabile razzismo.

Unreal (3)

Ora, credo sia abbastanza evidente che in tutto questo, compresi ovviamente i commenti dei lettori, ci sia un’ipocrisia clamorosa.
È chiaro che leggere quella frase non faccia piacere, ed è comprensibile che trasmetta un senso più o meno forte di disagio. Non parliamo poi di chi una disabilità fisica la sperimenta tutti i giorni e che improvvisamente vede trasformata la sua condizione in uno strumento di mero intrattenimento commerciale.
Detto questo, è altamente idiota indignarsi per una frase scritta su facebook, senza rendersi conto che i casting sono tutti così, e soprattutto che non potrebbero essere diversamente. Che una frase compaia o meno su facebook non cambia il fatto che un regista, nel costruire una storia per immagini, debba scegliere attori e attrici che rispondono alle esigenze poste da quella storia.
Se la storia che state raccontando prevede l’impiego di una donna bella e alta, tutte le donne brutte e basse verranno scartate, proprio in quanto brutte e basse. E se invece vi serve un uomo obeso, perché la sceneggiatura che avete davanti prevede un personaggio maschio e obeso, non potete scegliere un ragazzo di cinquanta chili, e anzi cercherete un obeso “giusto”, che sia conforme all’immagine che voi, in quanto autori, vi siete fatti su quel personaggio.

Per andare nel dettaglio del caso che ha provocato lo scandalo, se la miniserie di Franscesca Archibugi prevede un personaggio affetto da nanismo, bisognerà prendere un attore nano. E se quel personaggio deve essere simpatico e tenero, bisogna scegliere un attore che non sembri il prossimo cattivo di un film di Batman. Come credete che li scelgano i personaggi di Once Upon a Time, o di Game of Thrones? A caso? Lanciando una monetina? Quali strumenti concettuali pensate che usino per scartare questo o quell’attore? In base alle ore di volontariato che fa?
Ci si chiede quindi dove sia il problema. È il fatto che l’hanno scritto da qualche parte? Il fatto che, vedendolo scritto, vi sembra improvvisamente sporco? Il buon vecchio “occhio non vede, cuore non duole”? Si fa ma non si dice?
Certo, c’è modo e modo di chiedere le cose, è giusto che esista una qualche forma di etichetta quando si tratta di rapportarsi con le altre persone, soprattutto quelle che non conosciamo. Ma l’accusa cieca di razzismo, l’alzata di scudi totale di fronte a una pratica normale e inevitabile – qui semplicemente mal comunicata – è figlia di una società degli assoluti in cui il sacrosanto proposito di non offendere le persone si è trasformato nella leva con cui diventare degli indignati di professione, degli urlatori compulsivi che alzano i forconi contro l’evasione fiscale quando un minuto prima hanno pagato in nero l’idraulico.

Unreal (1)

Per questo trovo giusto guardare una serie come Unreal. Non perché sia il capolavoro della vita, e nemmeno perché ci racconta la “verità” (stiamo sempre parlando di fiction). Ma semplicemente perché il suo cinismo romanzato ci permette di porci dei dubbi, di farci delle domande, di capire che il mondo della produzione televisiva, e in generale la vita, risponde a logiche ed esigenze che non sono sempre quelle di un libro per bambini, dove tutti possono fare tutto, basta solo che lo desiderino forte forte.
In America i critici hanno detto che dopo la visione di Unreal i fan di The Bachelor non potranno più vedere il programma con gli stessi occhi. Credo non ci sia complimento migliore che si possa fare a un’opera di finzione: se una serie tv (o un film, un romanzo) riesce a scuotere lo spettatore al punto da fargli mettere in dubbio le proprie certezze, costringendolo a considerare le proprie convinzioni anche da altri punti di vista, obbligandolo a interrogarsi perfino sulle modalità di produzione di ciò che ha appena visto, sta contribuendo alla sua intelligenza, e magari lo aiuterà a formarsi opinioni più consapevoli.
E così chissà, in futuro potremmo avere meno indignati della domenica che si infuriano per una frase su facebook, letta subito dopo aver voracemente divorato tre puntate in fila di Malattie Imbarazzanti.

Argomenti archibigi, nano, rai, unreal


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