Preacher: quella bella follia che un po’ spaventa di Diego Castelli
Ancora una volta una serie tratta da un fumento. Stavolta però con bei numeri.
Volevo aspettare qualche giorno prima di scrivere di Preacher, nuova serie di AMC, perché avevo bisogno di metabolizzarla. Ci avevo visto qualcosa di assolutamente spettacolare ma c’era anche qualche dettaglio che non mi tornava, e forse ora sono arrivato a capirci qualcosa (di me, più che del pilot).
Andiamo con ordine: Preacher è l’ennesima serie (detto senza polemica) tratta da un fumetto, precisamente la saga con lo stesso nome scritta da Garth Ennis e disegnata da Steve Dillon, pubblicata sotto l’etichetta Vertigo della DC Comics e distribuita negli Stati Uniti ormai vent’anni fa, dal 1995 al 2000.
Preacher, nel fumetto e anche nella serie, parla di un predicatore di nome Jesse Custer, un poveraccio non troppo capace di portare l’abito talare, che un bel giorno si ritrova posseduto da una misteriosa entità spirituale che gli dona grandi poteri e lo lancia in una bizzarra avventura alla ricerca di Dio, aiutato dalla ex fidanzata Tulip e da un vampiro irlandese di nome Cassidy.
Senza spoilerare troppa trama, come di consueto potremmo andare a guardare le differenze e le somiglianze fra fumetto e serie tv. Potremmo ma non lo faremo, ché non ci piace. Vale però la pena di dire, per chi non ha mai sentito parlare di Garth Ennis, che è uno degli autori di fumetti più folli e iconoclasti che ci siano, uno che ha firmato alcune fra le pagine più fuori di testa (nel senso buonissimo del termine) mai apparse su The Punisher.
Da questo punto di vista i tre autori e produttori della serie – Evan Goldberg, Seth Rogen e Sam Catlin – hanno dovuto ammettere che alcuni elementi del fumetto sono stati eliminati perché completamente intrasmissibili in televisione, affrettandosi però a rassicurare sul fatto che i vecchi fan saranno stupiti da quanti elementi sono stati cambiati ma anche da quanti, invece, sono rimasti invariati.
Come dire, potremmo trovarci di fronte a uno strano caso per cui alcuni spettatori giudicano una serie “troppo esagerata”, mentre altri “troppo poco”.
Ma qual è il succo della faccenda? Perché tutte ste menate?
Semplice, perché Preacher è una serie tamarra, violenta, volgare, imbecille e spesso blasfema. Lungi dall’essere un normale drama soprannaturale, Preacher è anzi quasi più spostata verso la comedy, grazie ai bazooka caserecci di Tulip, alla faccia devastata di Arseface, al Cassidy vampiro-maciullato dopo essere caduto da un aereo dove aveva ucciso tutti gli occupanti, grazie a un povero cristo che, dopo aver essere stato soggiogato da poteri di condizionamento che Custer non sa ancora di avere, va a far visita all’anziana madre e le mette il cuore in mano.
Non metaforicamente.
Visivamente e stilisticamente vicina a certe atmosfere da western surreale tipo Tarantino o Robert Rodriguez, Preacher punta a scuotere e divertire lo spettatore e ci riesce in molti casi, per la pura forza creativa delle soluzioni cinematografiche atte a far scattare l’applauso godereccio, o dove è necessario spingere l’acceleratore del richiamo cartaceo, con inquadrature e singole immagini che sembrano evocare chiaramente l’estetica e la composizione dei pesi tipiche del fumetto.
È insomma una serie che sa di fresco, che riesce effettivamente ad aggiungere qualcosa a ciò che già conosciamo, che si fa notare nella cacofonia seriale a cui ci siamo giocoforza abituati, specie ora che è finita Banshee e che di scazzottate tamarre c’è bisogno.
Avevo però detto che qualcosa non mi tornava. Avrei qualcosa da dire su Dominic Cooper, interprete di Jesse nonché ex padre di Tony Stark nei vari film e serie della Marvel: semplicemente perché ancora non lo vedo perfettamente equilibrato nel ruolo dell’ex cattivo che però ha ancora parecchia oscurità da tirar fuori. Per dire, Joseph Gilgun, interprete di Cassidy, mi ha invece convinto fin da subito.
Ma più di questo, che può essere un dettaglio, non mi torna tutto dell’atmosfera generale. Il pilot è molto lungo, forse troppo, si poteva asciugare qualche scena aumentando il ritmo senza perdere informazioni. Soprattutto, è evidente che parte di questa lunghezza è dedicata al tentativo di dare a Preacher uno spessore simil-drammatico che per ora non ha.
Non ci sarebbe nulla di male se Preacher fosse una serie interamente comico-grottesca, senza ulteriori pensieri. Siccome però si nota il (lodevole) tentativo di dare al protagonista uno spessore morale e drammatico di un certo tipo, tocca segnalare che per ora questo aspetto è trattato in modo un po’ goffo, sia nel lungo preambolo dedicato alla vita attuale di Jesse, sia nel finale in cui un monologo non troppo riuscito fonda il desiderio del protagonista di rimanere nella sua piccola città per aiutare gli abitanti. (cosa che, tra parentesi, potrebbe offrire qualche ostacolo narrativo, visto che il fumetto era molto itinerante e traeva forza anche da questa componente di viaggio, che invece la serie potrebbe non avere).
In buona sostanza, Preacher ha i numeri per essere un’ottima serie, forse perfino una serie “grande”. La speranza, dopo un pilot che ovviamente non può dirci tutto, è che il futuro ci riservi una storia capace di tenere insieme l’adorabile follia sanguinolenta con un piglio narrativo più solido e deciso, che vada quindi oltre il semplice affastellamento di scene cult, buone per i serial moments ma non sufficienti (da sole) a scavare un solco profondo nel cuore degli spettatori.
Comunque fiducia, e ci risentiamo per il finale.
Perché seguirla: divertente, folle, malata, violenta, piena di idee.
Perché mollarla: la cornice narrativa di quelle follie va perfezionata e rafforzata, altrimenti diventa una semplice collezione di figurine trash.