Game of Thrones 6×05: cinque suggerimenti per tradurre quel “Hold the Door” di Diego Castelli
Son problemi veri
OCCHIO! SPOILER SULLA 6X05!!!!
Il fatto che siamo ancora qui a scrivere dell’episodio settimanale di GoT, cosa che negli anni scorsi non facevamo, la dice lunga su una stagione che, una volta slegata da certe gabbie imposte dai romanzi di Martin, ha preso un ritmo più esplicitamente televisivo, che punta ad avere almeno una o due scene top a puntata.
Che poi possono piacere o meno, intendiamoci, ma un cambio di paradigma mi pare assolutamente evidente.
Il quinto episodio stagionale non ha fatto eccezione. Prima del finale ci sono diverse cose interessanti: dalla voglia di rivincita di Sansa (ma dove vai senza Brienne? Ma stai buona che ti fai male…) alla rappresentazione teatrale su Stark e Lannister (bell’intermezzo autoironico, a sottolineare il fatto che a Westeros è anche pieno di poveracci a cui delle beghe dei nobili non frega niente); dal momento di platonico romanticismo fra Daenerys e Jorah, con la Madre dei Draghi finalmente capace di versare una lacrima per un amico, alle vicende di Theon Greyjoy, rimasto senza pene ma capace di farsi ricrescere un minimo di testicoli; dalla diplomaiza di Tyrion ai nuovi, meravigliosi sguardi concupienti di Tormund verso Brienne (sta specie di sottostoria romantica la A-DO-VO).
Ma è ovvio che quello che rimane negli occhi e nel cuore è il finale, che arriva direttamente dalla testa di George Martin, come dichiarato dagli stessi autori di Game of Thrones. Non tanto per la morte in sè di Hodor, personaggio amatissimo e pluricitato, ma che di suo non sarebbe più importante di altri già passati a miglior vita. La questione riguarda invece le modalità di quella morte, e come essa riverbera nella costruzione complessiva della serie.
Certo, è una delle scene più emotivamente cariche che abbiamo visto negli ultimi tempi: quel ritmo forsennato, la suspense dura e cruda, la presa di coscienza sempre più chiara che Hodor verrà sacrificato e la tristezza per l’ultimo sacrificio di un gigante gentile che, nel mondo violento e morboso di Westeros, era quasi l’unico a potersi permettere di mantenere una fanciullesca ingenuità.
Ma c’è di più, qualcosa per cui il Villa mi diceva di paragonare la scena a “not Penny’s Boat” di Lost, per forza emotiva e importanza nella trama. E tra parentesi, il regista è lo stesso: Jack Bender. Innanzitutto perché viene introdotta una questione di “viaggi nel tempo” che finora Game of Thrones non aveva battuto in modo così preciso. Certo, avevamo già avuto la sensazione che Bran potesse influenzare il passato, ma stavolta siamo finiti in pieno Ritorno al Futuro, uno stacco abbastanza forte su cui qualcuno ha già storto il naso, e che effettivamente potrebbe anche avere un certo potere destabilizzante.
Al momento, però, va benissimo, perché quel viaggio nel tempo consente alla serie di completare una costruzione che ci riporta perentoriamente al valore della serialità, evidentemente non solo televisiva.
Quando ci chiedono perché guardiamo le serie tv, rispondiamo spesso che certe emozioni, certi risvolti, funzionano meglio se vengono diluiti in anni di racconto, piuttosto che compressi in due ore di film. La vicenda di Hodor ne è un chiaro esempio: quanti film abbiamo visto in cui il futuro modifica il passato in un loop perenne? Decine, e molti sono bellissimi. Dunque il twist di “Hold the Door” non è di per sé rivoluzionario. A cambiare è il riferimento temporale. Il fatto che il gigante si chiami Hodor lo sappiamo da anni. Anni. Il fatto che lo svelamento del significato di quel nome arrivi dopo così tanto tempo, aggiunge un incredibile surplus di emozione, perché ci svela un segreto che avevamo sotto gli occhi fin da quando eravamo letteralmente più giovani. La prossima volta che mi chiederanno di spiegare il potere della serialità, la mente non potrà che andare a questa scena.
Oltre a tutto questo, c’è però un ulteriore questione, di cui di solito non ci occupiamo ma che stavolta non può non imporsi all’attenzione: come lo traduci “Hold the Door”?
No perché noi guardiamo le serie in inglese, e va bene, ma c’è tanta gente che le guarda in italiano, e ci sono persone che il doppiaggio lo devono realizzare.
Come la gestisci sta cosa?
I siti di sottotitoli se la sono cavata con cose come “tieni duro”, o anche “blocca l’orda”. Soluzioni legittime, ma che funzionano anche perché, in effetti, l’audio inglese sotto lo senti. Come dire, ti suggerisco qual è il giochino messo in campo, ma devi capire che ci sono dei limiti.
In un doppiaggio completamente italiano invece il problema è più tosto.
Ecco perché, in attesa di vedere come l’avranno risolta gli adattatori ufficiali, noi ci permettiamo di dare alcuni suggerimenti.
Qui Hodor sta pensando a una locandiera che gli piaceva da ragazzo. Pensare a lei e all’afrore muschiato che la donna emanava alla fine del suo turno di lavoro dà ad Hodor la forza per resistere all’avanzata degli Estranei.
Da sempre grande appassionato di musica, Hodor si carica con il genio di Jim Morrison, facendo montare l’adrenalina.
Qui si scopre un twist interessante, in base al quale il mite e ingenuo Hodor è in realtà il capo della catena “Compro Oro”, che si dice stia finanziando la costruzione di un nuovo e potente esercito con cui Bran Stark farà il culo a tutti.
Finalmente viene svelata la passione di Hodor per i romanzi di Harry Potter. Da sempre fan di Hagrid, che ha preso come modello fin da bambino, Hodor cerca di piazzare la citazione arguta senza ricordarsi che, se fosse stato raccontato da Martin, Harry Potter non avrebbe nemmeno finito il primo romanzo e sarebbe morto assai prima di incontrare il Basilisco.
Con la sagace ironia che lo contraddistingue, questa traduzione consegnerebbe a Hodor una sfumatura di polemica politica, andando a prendersela con le fanciulle in vena di insurrezione. Rimarrebbe il dubbio sull’effettivo bersaglio dell’acrimonia: la vedova di Oberyn, incazzosa amazzone vendicativa? Oppure in generale Dorne, proprio come luogo di villeggiatura dove Hodor si sarebbe scottato anni prima in un villaggio Val-Tur?
Ok, lo ammettiamo, sono soluzioni un po’ ardite. Ma d’altronde anche la Tata era passata da ebrea a laziale in una serie intera, che problema c’è?