4 Maggio 2016 12 commenti

11.22.63: un trionfo a metà di Eleonora Gasparella

La miniserie di Abrams e soci è buona ma con qualche scivolone

Copertina, On Air

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Attenzione: spoiler su tutta la stagione e su fatti storici reali o presunti.

Il passato non vuole essere cambiato.
Il leitmotiv di tutta la prima stagione di 11.22.63 è sicuramente questo. Ed è da questo assunto fondamentale che si snodano tutte le vicissitudini e i loro esiti. Una stagione che ci è sembrata all’altezza delle buone premesse perfettamente descritte dal Castelli nella recensione del pilot, con tuttavia qualche elemento più deboluccio che proviamo a riassumere.

Oswald e JFK
Il tema principale, la missione di Jake Epping, ovvero fermare l’assassinio di JFK ad opera di Oswald e scoprire l’esistenza o meno di un complotto, allo scopo di regalare all’umanità un futuro migliore (è importante partire da obiettivi semplici), è appassionante e riesce nell’intento di coinvolgerci. Il merito è in gran parte dei personaggi e degli attori: la coppia Lee Oswald/Marina Prusakova è intricata, oscura e piena di zone d’ombra che generano le molteplici dinamiche ad incastro care a King, di cui la serie si nutre. Affascinante il triangolo Oswald-Marina-Bill, che causa la progressiva debacle di Bill e il suo allontanamento dalla missione (ancora quel passato che non vuol essere modificato e mette i bastoni tra le ruote). Daniel Webber, semisconosciuto attore australiano nella parte di Oswald, è convincente: il grande mistero che Jake, Bill, e Al Templeton prima di loro tentano di sbrogliare, è incarnato da quest’uomo lucido ma pieno di debolezze e cambi di umore dall’aria costantemente a metà tra la pazzia e l’indifferenza. Fino all’ultimo non riusciamo a capire cosa ci sia nella mente di Oswald, fino all’ultimo non ci è chiaro se sia un braccio armato di un’organizzazione più grande di lui o se sia la mente del piano, e soprattutto fino all’ultimo il suo personaggio non è solamente “Lee Oswald: il cattivo senza appello” ma riesce in qualche modo a risultare umano.
Questa macroparte della serie è piuttosto curata, ma si perde nel finale. La lunga sorveglianza di Jake e Bill su Oswald viene buttata un po’ via negli ultimi due episodi, che sono quasi completamente legati alla “vita privata” di Jake. Ed è qui che le cose iniziano a scricchiolare.

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Dal libro allo schermo
Una buona parte del libro di Stephen King è stata tagliata per venire incontro alle esigenze dei tempi televisivi che si sa, sono più brevi e “mordi e fuggi” rispetto a un libro (specie nel formato della miniserie, che non può contare su molte stagioni).
Così tutto è condensato in otto puntate e tutto accade rapidamente: l’accettazione della “missione” da parte di Jake, la sua vita come insegnante negli anni Sessanta, i suoi rapporti di lavoro con Bill, Sadie e anche il suo ritorno nel futuro.
Purtroppo questo rappresenta una macchia di dimensioni considerevoli in una serie che altrimenti sarebbe ottima. Nel romanzo di King la vita di Epping nel passato è narrata più minuziosamente ed è più approfondita, mentre nella trasposizione televisiva perde pezzi e anche James Franco, nonostante una prova decisamente convincente, non riesce ad essere del tutto incisivo per quanto riguarda l’evoluzione del personaggio e della sua vita. Le “colpe” si possono distribuire per un 40% su Franco e il resto su una sceneggiatura che, per i motivi sopra citati, ha preferito dare più peso all’azione sacrificando il contesto.
Questo genera un ulteriore problema se si guarda la serie senza aver letto il libro: la confusione e la difficoltà di trovare una linearità agli eventi. Tutta questa azione, questi fatti che si incastrano e si snodano all’interno di un contesto debole e poco spiegato, generano spesso un senso di spaesamento: non sempre si comprende bene perché una certa cosa abbia provocato quella reazione.
La storia di Jake, nella serie quasi del tutto ridotta al suo rapporto con Sadie, è in realtà molto più ampia, è la storia di come un uomo si convince del fatto che un certo tipo di vita nel passato sia evidentemente migliore di quella futura. Mentre cerca di compiere la sua missione, Epping si rende conto che quella è la vita in cui si trova a suo agio, ed è anche per questo che il finale della storia di JFK e così amaro. Persa Sadie che riempiva la sua vita di senso rappresentando un appiglio con la genuinità di quel passato, anche il fatto di aver fermato l’assassinio ha poco valore.

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I favolosi anni Sessanta
Dunque 11.22.63 è una serie da buttare? Assolutamente no. Ha alcune pecche, ma ha anche moltissime belle cose. Oltre a quelle già dette c’è un grande pro, che rende la sua visione estremamente godibile. Come già detto dopo la visione del pilot, il danaro messo per la produzione di questa serie ha generato una perfetta ricostruzione storica e visiva dell’America negli anni 60 ed in particolare di posti marcatamente caratteristici come la piccola cittadina del Texas. I nostri occhi sono costantemente stupefatti. I costumi, le macchine, gli atteggiamenti delle persone (molto importanti per capire ed entrare veramente dentro quello che succede a Jake), gli accenti: tutto è minuziosamente studiato per regalare una resa più verosimile possibile. Una nota di merito va anche alla regia, che continua a mantenersi ad alti livelli per tutta la season. Forse è talmente bella che il mondo degli anni Sessanta di 11.22.63 sembra quasi finto, popolato da figure quasi caricaturali, cattivi che sono cattivissimi, buoni buonissimi e belli bellissimi (non mi soffermerò su quanto sono boni James Franco e Sarah Gadon: a livelli imbarazzanti). Però la ricostruzione riesce e riesce bene.
In definitiva: certo, i lettori di King troveranno alcune notevoli lacune, si lamenteranno e potranno essere dispiaciuti per questo o quel dettaglio, tuttavia quelli che non hanno letto il libro godranno di una storia appassionante senza badare troppo ai buchi e guarderanno a 11.22.63 come a un lungo e piacevolissimo film.



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