Daredevil 2: doppia recensione perché non ci riusciva di stare zitti di La Redazione di Serial Minds
Diavoli, punitori, amazzoni e ninja!
Jessica Jones è stata la serie che mi ha riportato alla realtà, che mi ha svegliato da un sogno chiamato perfezione, facendomi capire anche l’accoppiata Netflx/Marvel può fallire. Prima di allora vivevo nell’illusione che tutto sarebbe stato come Daredevil, perfetto e sorprendente, salvo poi rendermi conto che la realtà era ben diversa, e che la serie con Kristen Ritter soffriva di una monotonia tale da conciliare il sonno anche al più problematico degli insonni. Come approcciarsi quindi alla seconda stagione di Daredevil? Beh, sicuramente con un po’ d’ansia, perché un conto è vedere una cosa deludente su di un personaggio di cui non te ne frega nulla, e un’altra è vederla su uno dei tuoi preferiti, soprattutto quando azzeccano il casting della vita prendendo Jon Bernthal come Punitore.
Avendo avuto modo di vedere la prima metà della stagione prima della messa online, per poi finirla insieme a voi, ho avuto la netta sensazione di vedere una parabola ascendente, seguita da una lunga discesa, salvo poi riprendersi nel finale grazie ad un piccolo guizzo. L’ascesa iniziale ha il nome di Frank Castle, che riporta sullo schermo ancora una volta un personaggio opposto a quello di Matt, un concetto diverso di “fare giustizia” ma con un fine ultimo simile a quello del diavolo di Hell’s Kitchen. Se la battaglia di Daredevil è mossa dalla ragione e dalla calma, quella di Frank è una furia vendicativa, una lunga scia di sangue che parte dalla morte dei propri cari e vuole finire sul cadavere del responsabile di quella strage. La forza del Punitore è tale da travolgere anche Matt, portandolo ad una lenta perdita di tutti gli affetti, facendogli abbracciare sempre di più la sua anima da giustiziere notturno a discapito di quella da servitore della legge. Il Punitore ci insegna ad essere al di sopra della legge, mostrandoci come il concetto di violenza sia declinabile in diversi modi, spesso non troppo distanti da quello di giustizia. La scena del processo è emblematica di tutto ciò, presentandoci una popolazione divisa a metà, incerta se condannare o meno l’assassino Frank Castle, da molti visto come un giusto che punisce solo i colpevoli.
La delusione è stata invece Elektra, un personaggio poco a fuoco e spesso quasi irritante per la sua inutilità, introdotta come terzo incomodo nella relazione tra Matt e Karen e utilizzata per gran parte del tempo come leva morale per influenzare gli umori del protagonista. La sottotrama de La Mano mi è parsa poco incisiva, quasi buttata lì per il futuro crossover The Defenders, ma lasciata morire con troppi interrogativi alle spalle. Ed è un peccato che la stagione si sia chiusa proprio in quel modo, mettendo lentamente in secondo piano la storia di Frank Castle in favore di quella su Elektra, poi trasformata in un triangolo tra lei, Matt e Stick, condita da una serie di flashback onestamente evitabili. Un applauso va comunque fatto all’evoluzione del personaggio di Matt/Daredevil, continuamente in bilico tra il giorno e la notte, tanto da accarezzare l’idea di mollare la sua vita civile per fuggire con la sua amata. La scena che chiude la stagione, la grande rivelazione a Karen, è proprio un tentativo disperato di aggrapparsi all’ultimo affetto rimasto, dopo aver visto la fine di Nelson&Murdock e la morte di Elektra.
Questa seconda stagione di DD riconferma quanto di buono visto con la prima, pur complicandosi la vita con l’introduzione di un personaggio mal scritto come Elektra. La sensazione è che la serie voglia spingersi sempre più in là con la violenza e i toni dark, portando i personaggi verso un baratro. Dita incrociate.
Francesco Martino