Stan Lee’s Lucky Man – La maledizione del bracciale fortunello di Marco Villa
Quel puro intrattenimento a cui non puoi volere male
Il nome di Stan Lee non ha bisogno di grandi presentazioni: chiunque bazzichi il mondo dei fumetti, anche solo marginalmente, ha sentito parlare di questa sorta di figura leggendaria, che ha ricoperto un ruolo centrale nella trasformazione dei comics da faccenda per nerd a universo spettacolare del quale cinema e televisione non possono più fare a meno. La presenza del suo nome nel titolo di una serie suona quindi come un alert di un certo peso, anche perché la serie in questione ha una caratteristica che può suonare strana se riferita a Lee e al suo mondo: Lucky Man è infatti una serie tv inglese.
In onda dal 22 gennaio su Sky1, Stan Lee’s Lucky Man ruota intorno al personaggio di Harry Clayton, poliziotto non proprio irreprensibile, con un rapporto complicato con il gioco d’azzardo e la buona sorte. Harry è indebitato pesantemente con loschi figuri della mafia cinese, sguazza in locali di strip club e in sostanza gli vanno tutte storte. Le cose cambiano quando incontra una misteriosa bionda: con lei al fianco vince tutto al casino e finisce anche per portarsela in camera. La mattina successiva, da buona tradizione, lei non c’è più, ma in compenso Harry si ritrova al polso un bracciale dorato impossibile da togliere. In poco tempo scoprirà che si tratta di un bracciale che dona fortuna a chi lo indossa, nel senso che le cose iniziano a girare nel verso giusto. Ovviamente un potere di questo tipo attira l’interesse di malintenzionati e non a caso il pilot si chiude con un attacco di tutto rispetto nei confronti del povero Harry.
Ci ho provato in ogni modo a metterla giù in modo fico, ma è impossibile: il concept del bracciale fortunello si mette inevitabilmente a metà strada tra gli dèi greci e Fantaghirò, finendo per suonare fuori dal tempo e lontanissimo dai gusti contemporanei. È la storia di un gioiello magico, amici, difficile trovare il modo di gasarla e da un certo punto di vista anche difficile riuscire a spiegare come, da queste premesse, esca un pilot godibilissimo, che scivola via liscio liscio e dà buone indicazioni per le prossime puntate.
La narrazione che si sviluppa nel primo episodio è lineare e senza scossoni, ma tutt’altro che semplice: tanti personaggi, tante sottotrame più o meno incrociate, tutto utile per delineare la Londra alternativa che fa da sfondo alla storia. Alternativa rispetto a come siamo abituati a vederla nella serie inglesi, più o meno realistiche: qui siamo in un mondo altro, dichiaratamente e orgogliosamente fumettoso, in cui i cattivi sono arci-cattivi e in cui ci sono degli “angeli custodi” che girano su moto nere. Un mondo super-pop, insomma, esattamente come i fumetti Marvel, che porta a scene come un inseguimento tra motoscafi, che è sempre uno sforzo produttivo non da poco.
Tutto questo si scontra con il volto e il corpo del protagonista, ovvero James Nesbitt, visto in migliaia di film e serie tv (tra le ultime The Missing), uno che fa dell’austerità e del distacco le proprie caratteristiche attoriali principali. Questo scontro permette a Lucky Man di mantenere una minima misura e non scivolare verso il cazzatone senza ritorno.
Detta in altri termini, Stan Lee’s Lucky Man è puro intrattenimento popolare. Esattamente quello che sono sempre stati i fumetti, almeno negli Stati Uniti e almeno agli inizi. Siamo lontanissimi dai turbamenti del Daredevil televisivo, qui ci si rilassa e si gode della leggerezza. Non è l’approccio che permette a una serie di diventare un capolavoro, ma ogni tanto puntate di questo tipo ci stanno alla grande.
Perché seguire Stan Lee’s Lucky Man: perché è puro intrattenimento senza menate.
Perché mollare Stan Lee’s Lucky Man: perché nel suo dna è scritto che non diventerà mai un capolavoro