Legends of Tomorrow: il pastrocchione stupidone (ma divertente) di Greg Berlanti di Francesco Martino
Due spinoff in uno! O forse tre?
Nonostante i dubbi di una fetta del pubblico, Greg Berlanti ce l’ha fatta: nel giro di qualche anno è diventato il signore assoluto dei supereroi in televisione. In origine fu Arrow, poi Flash e Supergirl, e per finire Legends of Tomorrow, l’ultima grande sfida che il buon Greg ha voluto lanciare al pubblico. Perché Legends of Tomorrow (che da ora in poi sarà LoT) è soprattutto un coraggioso esperimento televisivo, il crossover alla massima potenza: quello che unisce i personaggi di due show diversi in un telefilm originale, mettendoli insieme in una storyline che parte da zero.
Sono ben otto (più uno) i protagonisti della nuova serie fumettistica di CW: ognuno introdotto nei mesi e anni passati sia in Arrow che in Flash, ognuno con il suo passato più o meno articolato e intrecciato alle avventure di Freccia Verde e del Velocista Scarlatto. Tutti riuniti da Rip Hunter, un viaggiatore temporale che ha bisogno di questa scalcagnata banda di improbabili eroi per combattere Vandal Savage, un immortale che in futuro – un futuro che Hunter vuole scongiurare – conquisterà il mondo governandolo con pugno di ferro.
Per parlare di LoT bisogna cominciare proprio da loro, dall’enorme calderone di personaggi e storie condensati in un unico progetto, senza però dargli una guida specifica, senza che la serie abbia un vero e proprio protagonista, ma lasciando che “lo scettro” vaghi di situazione in situazione, fidandosi del carisma dei personaggi. Ecco, un carisma non sempre all’altezza della situazione.
Wentwoth Miller e Dominic Purcell sono due fuoriclasse, così come Victor Garber e, in parte, Brandon Routh; ma la situazione si fa più tragica quando Falk Hentschel e Ciara Renee iniziano a riattaccare quei terribili pipponi sul loro passato nell’antico Egitto, accompagnati da quelle solite scene in costume dove lui muore con la stessa faccia di Stanis La Rochelle di Boris.
Questo gruppo di otto attori dal talento più o (molto) meno marcato sono poi raccordati da un unico personaggio, quel Rip Hunter che teoricamente dovrebbe essere la loro guida durante l’importantissima missione nello spazio/tempo, ma che finisce inevitabilmente per sembrare una copia del Dottore fatta dalla Asylum. Non so quanto la cosa sia voluta, ma dalla giacca all’accento inglese di Arthur Darvill (che in Doctor Who è anche apparso), tutto sembra voler richiamare una versione cheap dello sci-fi british per eccellenza.
Ecco, arriviamo al secondo punto dolente di questa serie, che poi è un vizio di tutto il Berlanti-verse: i costumi. Più passa il tempo e più queste serie mi danno l’idea di una roba girata da alcuni cosplayer durante una convention. Se in Flash la pillola è in parte addolcita dagli effetti speciali e i super poteri, in Arrow è terribilmente palese, “aiutata” anche da molte sottotrame spesso da romanzo rosa.
In LoT la sensazione si ripropone grazie ai look sempre perfetti dei protagonisti, mai con una tutina fuori posto e sempre perfetti e stirati, come se fossero appena usciti dalla lavanderia. Non dico che gli attori dovrebbero rotolarsi in terra prima delle riprese (cosa che facevano i protagonisti di Star Wars), ma almeno che provassero a dare a tutti un look più credibile, adatto ad un gruppo di tizi che alla fine non fa altro che menarsi, che sia con i pugni o con i super poteri.
Ok, dopo tutto ciò probabilmente starete dicendo “Vabbè, ma quindi ‘sta serie fa schifo. Dai, nemmeno guardo il pilot allora.” E invece no, perché il nostro amico Greg non è scemo e alla fine, nonostante tutte le magagne elencate sopra, sa come tirare fuori una serie catchy, toccando i tasti giusti dello spettatore e mettendolo davanti a uno spettacolo in grado di soddisfarlo nonostante i problemi macroscopici.
LoT ha infatti un pregio notevole: è divertente. Gli otto protagonisti funzionano (almeno nel pilot) e la bravura di alcuni riesce a nascondere le mancanze di altri, così come le caratterizzazioni di certi personaggi sanno conquistare proprio laddove alcuni falliscono (vedere Captain Cold e la battuta su Boba Fett).
In generale l’intera operazione ha l’aria di un enorme guilty pleasure, pensato per soddisfare il pubblico più affezionato al lavoro di Berlanti e costruito con lo spirito di uno dei cinecomics più spartiacque degli ultimi anni, I Guardiani della Galassia, dove un gruppo di eroi per caso si ritrova nell’obbligo di salvare l’intera baracca.
Messa così la serie non può che essere uno continuo giro sulle montagne russe, rapido e divertente. Qui il rischio è uno solo, ossia quello che di non prendersi proprio mai sul serio e crollare su se stessi, diventando solo macchiette e lasciando che i difetti prendano il sopravvento sui pregi.
Per adesso la serie ci piace e anche il pubblico americano ne ha premiato l’esordio, regalando a CW il miglior ascolto del giovedì degli ultimi tre anni. Ai posteri l’ardua sentenza. Che poi i posteri siamo sempre noi, a fine stagione.
Perché seguire Legends of Tomorrow: perché è la sublimazione di un percorso iniziato anni fa.
Perché mollare Legends of Tomorrow: perché il Berlanti-verse, con tutti i suoi pregi e difetti, non fa per voi