29 Dicembre 2015 2 commenti

Homeland – La quinta stagione dà lezioni a tutti di Marco Villa

Lo scorso anno Homeland era resuscitata, adesso è tornata a predicare

Copertina, On Air

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[ATTENZIONE: SPOILER SU TUTTA LA QUINTA STAGIONE]

L’anno scorso, con la tipica sobrietà che ci contraddistingue, avevamo detto che quella di Homeland era la miglior resurrezione dai tempi di Gesù Cristo, perché era davvero difficile rimettersi in piedi dopo lo strazio della terza stagione, quella con Brody nell’hotel favelas di Caracas e sua figlia unchained in balia degli ormoni adolescenziali. La quarta stagione aveva dimostrato non solo che la resurrezione è un fenomeno verificabile anche al di fuori dei libri fantasy, ma che Homeland era ancora in grado di giocarsi le proprie carte, anche in un orizzonte con carenza di Brody. Noi eravamo già piuttosto entusiasti lo scorso anno, ma adesso si può davvero dire che Homeland si è definitivamente staccata dal suo concept iniziale rimanendo una delle migliori serie in circolazione.

La quarta stagione era infatti una lunga elaborazione del lutto per la morte di Brody, da parte di Carrie e da parte degli spettatori: tante citazioni, addirittura un’apparizione e poi il fantasma costante della sua presenza. Già nella terza stagione Carrie aveva agito da sola per gran parte del tempo, ma tutto quello che faceva era comunque in funzione del suo amato roscio. Nella quarta no, ma il buon Brody era di fatto sempre evocato e presente. Non credo di esagerare se dico che nella quinta stagione non venga mai nominato e non rientri in alcun modo nelle preoccupazioni di Carrie, che ha anche fatto pace con il suo ruolo di mamma.

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Eliminato questo ingombro, Homeland si è imposta nuovamente come una serie spy con pochi rivali: l’ambientazione berlinese ha dato freschezza, così come l’introduzione di un’infilata di nuovi personaggi. La scelta di inserire un traditore ha permesso poi di andare fino in fondo in un discorso che con Brody era stato solo accennato: là non potevamo non parteggiare per lui, almeno un po’. In questo caso, invece, Allison ha assunto tutti i tratti del nemico con la n maiuscola, quello che non si ferma davanti a niente ed è disposto a tradire tutto e tutti, nonostante sia in teoria dalla nostra parte. Altro elemento è l’introduzione del nemico russo, che fa sempre tanto guerra fredda e allarga il fronte dei papabili cattivi, rendendo la faccenda più intricata.

Arrivando al sodo, va sottolineato come le ultime puntate siano state una rara botta di tensione, arrivata dopo una fase preparatoria decisamente lunga. Non tutto ha funzionato a dovere, in particolare il versante Fondazione During, con tanto di magnate in love e inutile giornalista americana. È lei in fondo il personaggio più ambiguo e indistinto, nel suo ondeggiare tra eroismo e ambizione personale, ma a conti fatti è una delle poche a chiudere la stagione con un saldo personale positivo in termini di karma, grazie al salvataggio della sua fonte.

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Ecco, il karma, quello che si è appoggiato su Peter Quinn con la grazia di un 737 a pieno carico. Avevamo già scritto di come lamdua natura di eroe tragico non potesse che portarlo a morte certa, ma il modo in cui (apparentemente) è stato tolto di torno è davvero disgraziato: sacrificato dai suoi stessi colleghi, in modo del tutto inutile. Lo spettatore sa che Quinn non può dire niente a Carrie e a Saul “Pussylover” Berenson e ai suoi occhi il loro mini-interrogatorio assume i tratti della tortura.

Di fronte a tutto questo, passa quasi in secondo piano la minaccia terroristica di questa stagione, sventata di fatto dalla sola Carrie senza nemmeno eccessivi sbattimenti. In fondo è proprio questo il segnale migliore dato dalla quinta stagione, ovvero la capacità di Homeland di essere credibile e appassionante non solo senza Brody, ma anche senza un antagonista bombarolo sotto i riflettori. Lo scorso anno Homeland era resuscitata, adesso è tornata a predicare.

 

Argomenti homeland, season finale, spy


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