Casual: una bella comedy che ci eravamo persi di Diego Castelli
Bisogna sempre stare attenti che poi si perdono le chicche!
Nel marasma seriale dell’autunno, specie in anni di moltiplicazione dell’offerta e delle piattaforme, perdersi dei pezzi è un attimo. Ovviamente speri sempre che, qualora ti sfuggisse qualcosa, si tratti di cagate abominevoli, ma erano ormai settimane che sentivo la necessità di recuperare Casual, nuova comedy di Hulu che molti dicevano essere assai bellina.
Ho continuato a posticipare finché non è arrivata la candidatura candidatura ai golden globe. Ok, sono premi che mettono in lizza come miglior drama Empire e Outlander, non ci si può fare troppo affidamento. Però non si poteva più far finta di niente, così questo week end mi sono guardato quasi tutti gli episodi della prima stagione, ricavandone buone sensazioni. Casual ha per protagonisti Alex e Valerie, fratello e sorella – lui programmatore di siti di incontri, single impenitente e post-depresso, lei psicanalista e madre divorziata – che cercano di darsi reciproco supporto alla ricerca di un vago e fumoso concetto di felicità.
È una comedy agrodolce, con quel tono insieme volgarotto, cinico e malinconico tipico di tante serie più indipendenti (vengono in mente You’re the worst o la purtroppo cancellata Happyish), e trova già nel titolo il senso ultimo del suo racconto.
Esplicitamente riferito alle indicazioni che i frequentatori dei siti di incontri spuntano sui profili per esplicitare le proprie preferenze romantico-sessuali, il termine “casual” arriva a riassumere le esperienze di entrambi i protagonisti, anche se in modo diametralmente opposto.
Valerie (interpretata da Michael Watkins) è la tipica donna che si impegna, che mette sempre il 100% in tutto quello che fa, e che ha lavorato molto per costruirsi una carriera e una famiglia. Il problema è che il suo progetto è almeno parzialmente naufragato quando il marito l’ha tradita per andare con una ragazza molto più giovane, togliendo a Valerie il proverbiale terreno sotto i piedi.
Per Valerie “casual” significa la possibilità di riappropriarsi della propria vita, accettando la possibilità che l’amore e il sesso possano essere beni di rapido consumo e non necessariamente pilastri granitici su cui costruire chissà che. Un desiderio di libertà e leggerezza che ovviamente trova numerosi ostacoli, nella figlia intelligente ma fin troppo emancipata e nella madre assente che si rispunta dal nulla giudicando tutto e tutti.
Dall’altra parte, il fratello Alex (Tommy Dewey) è l’esatto opposto: uno che è riuscito a diventare un fancazzista di professione (lasciando ad altri il compito di gestire il suo sito) e che non riesce a impegnarsi in niente, dalle relazioni sentimentali al semplice fatto di prendersi la responsabilità di un animale domestico.
Se il “casual” di Valerie era un’aspirazione, quello di Alex è una costrizione, una gabbia da cui l’ormai ultratrentenne cerca di uscire per costruirsi una vita più significativa, nel timore che per lui ormai sia troppo tardi per rimediare.
Il maggior pregio della serie creata da Zander Lehmann sta nell’aver trovato il tono giusto fra una commedia aspra ma molto divertente (che spesso fa sentire lo spettatore parte integrante della sagacia dei personaggi), e un tono parallelo di dubbio e fragilità, in cui i personaggi cercano disperatamente un proprio posto nel mondo, scazzando continuamente.
Non è la comedy migliore che ho visto quest’anno, e nemmeno la più originale. Ma ha una solidità narrativa precisa e pregevole, che non sacrifica mai l’approfondimento dei personaggi all’altare della gag troppo facile, e che anzi è capace di salire improvvisamente di livello, come nella scena delle cena del Ringraziamento, dove la comicità lascia quasi completamente il posto al malinconico dramma familiare.
Il tutto con un gusto esplicito per certi piccoli dettagli, certe sfumature che sembrano poca cosa sul momento ma che acquistano una maggiore importanza col procedere della vicenda, come ad esempio la ricerca – da parte di Alex – di una partner che sia compatibile con il suo profilo “vero”, e non con quello fittizio da lui elaborato al solo scopo di accalappiare pollastre con molte tette e poco cervello. Oppure il complesso rapporto di Valerie con la figlia, che sembra aver ben digerito e metabolizzato l’approccio da “amica” scelto dalla madre, salvo poi uscire di testa come escono di testa tutti gli adolescenti, specie quelli delle serie tv.
Nulla è lasciato al caso, ed è cosa che si vede e si apprezza.
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Perché seguire Casual: una comedy ben scritta, con protagonisti efficaci e buona attenzione ai dettagli.
Perché mollare Casual: ha il sapore agrodolce e malinconico delle sitcom da pay tv, occhio a non cadere nel pregiudizio comedy=matte risate.