Wicked City – Le terra di mezzo tra serie vecchie e serie nuove di Marco Villa
La ricerca di un serial killer nella Los Angeles anni ’80: Wicked City ci prova, ma non ce la fa
[QUALCHE SPOILER SUL PRIMO EPISODIO, MA POCA ROBA]
Los Angeles, primi anni ‘80. Un tizio di quelli pieni di fascino e parlantina rimorchia ragazze come se non ci fosse un domani. Uno in gamba, talmente in gamba che è un serial killer, che trova le proprie vittime nei locali alla moda dove suonano le band fighe del momento. Lui ammazza ragazze, la polizia prova a indagare e in mezzo si trova una giornalista che aveva davanti una luminosa carriera come vittima e che invece si ritrova viva, vegeta e miglior aiuto possibile della polizia, dal momento che è l’unica ad aver visto l’assassino e a non essere stata malamente ammazzata. Questa è la storia di Wicked City e capite che si tratta di un intreccio parecchio interessante, per quanto non certo ricolmo di novità. Peccato che invece di essere il titolo da citare per parlare di nuovi crime imperdibili, Wicked City diventi l’esempio perfetto di quelle serie delle reti generaliste che si trovano sotto il sempre più ampio cappello del “vorrei ma non posso”.
Wicked City è una serie tv in onda dal 27 ottobre su ABC, creata da Steven Baigelman e con un cast che è di rara cagnaggine. A parte Taissona Farmiga del nostro cuore (l’adolescente problematica/strega in American Horror Story Murder House/Coven) che fa la parte della ragazzina ingenua in modo impeccabile, non se ne salva uno. Il poliziotto protagonista è interpretato da Jeremy Sisto (il fratello mezzo matto di Brenda in Six Feet Under) che si sforza di essere peggiore anche di Sua Incapacità Dylan McDermott. Non è da meno Ed Westwick (Gossip Girl), che interpreta un assassino incredibilmente debitore del dandy serial killer di American Horror Story Freak Show. Loro sono le punte di diamante della grande squadra della mediocrità: gli altri attori completano il team, ma un posto in prima fila lo merita anche mr. Steven Baigelman, che scrive un pilot in cui tutto è tagliato con l’accetta, a cominciare dai personaggi, fino ad arrivare alla storia stessa.
Prima, però, le cose positive: l’invenzione dello stratagemma della dedica della canzone è carino e funziona bene come trigger non solo tensivo, ma anche narrativo, perché in teoria potrebbe scatenare l’ansia e la ricerca da parte degli investigatori. Ancora migliore la scelta di una coppia di serial killer, con lei che viene in realtà introdotta come potenziale vittima. Se in questo caso il risultato finale è buono, non convince come avviene la trasformazione: banalmente, andava spalmata su più puntate. Far avvenire questo cambiamento nella prima puntata, compresso tra mille altre presentazioni è davvero bruciare una storyline molto promettente. Stessa cosa accade con l’amante del protagonista: dopo averla presentata come spogliarellista e spacciatrice, ci viene rivelato con mezzo dialogo (scritto male) che lei in realtà è una poliziotta sotto copertura. Di nuovo: che bisogno c’era di mettere tutte le carte sul tavolo già dal primo episodio?
Ecco, è qui che si cade nel vorrei ma non posso di cui parlavo in apertura: una rete cable non si sarebbe fatta alcun problema nel dilatare l’esposizione di informazioni, personaggi e storyline su varie puntate, in Wicked City invece tutto deve essere fatto vedere nel pilot, perché non si può conservare niente per il futuro, bisogna dare subito tutto al pubblico, nella speranza che anche il più piccolo dettaglio possa fare presa e permettere di tenere con sé uno spettatore in più la settimana successiva. Così anche il tentativo chiaramente da rete cable di creare una storia che abbia un arco narrativo orizzontale viene ucciso sul nascere. Vorrei ma non posso, appunto, un po’ quello che avevamo detto dopo il pilot di Blindspot. Non è la prima serie di questo tipo, non sarà nemmeno l’ultima: è un momento di passaggio, normale che ci siano degli ibridi venuti male.
Perché seguire Wicked City: perché è pur sempre la storia orizzontale di un serial killer
Perché mollare Wicked City: perché è scritta male e interpretata da cani