The Walking Dead sesta stagione: l’importanza della sconfitta [SPOILER] di Diego Castelli
Un episodio di quelli che…. Gesù…
SPOILER SULLA 6X03 DI THE WALKING DEAD
La puntata settimanale di The Walking Dead ci ha regalato uno di quei classici lunedì di incazzatura, tipici anche di Game of Thrones: non per quello che è successo nella serie, di cui parliamo a breve, bensì per la quantità di articoli, post su facebook, manifesti appesi per le strade da gente che non ha niente di meglio da fare che spoilerare a dieci ore scarse dalla messa in onda americana.
Sì, abbiamo capito che non lavori e puoi vedere gli episodi la mattina dopo, ma devi sapere che questa cosa non ha alcuna influenza sulla lunghezza del tuo pene, quindi per cortesia tieniti le informazioni per te.
Ciò detto, a me è andata ancora bene, sono riuscito a sapere “solo” che c’era una morte importante, ma senza sapere di chi.
A guardare l’episodio mi mangiavo le unghie con domande ossessive tipo “sarà Rick? Sarà Michonne? Sarà Glenn? Sarà Daryl? No dai, Daryl no, senza Daryl l’ascolto si dimezza, son mica scemi”.
Alla fine a lasciarci è proprio Glenn, protagonista fin dalla prima stagione, uno di quelli storici come si dice, uno che aveva tutta la nostra stima perché, nonostante l’apocalisse, era riuscito a trovarsi una stragnocca con cui tenere alta la bandiera… dell’umanità.
Ho già sentito in giro qualche lamentela legata alla “banalità”, chiamiamola così, della morte di Glenn. Ancora una volta però (comincia a diventare noioso, mi rendo conto) devo ergermi a difesa di The Walking Dead nei confronti di chi da sei anni spera di vedere un altro telefilm e ancora non ha capito.
Sì perché “Thank You” è una puntata praticamente perfetta proprio perché va tutto male e proprio perché va tutto male in maniera banale, quasi ridicola.
Da sempre The Walking Dead è una serie incentrata su un gruppo di persone chiamate a sopravvivere in una situazione assurda. Alle volte, vuoi perché Daryl è un figo, vuoi perché Rick fa gli occhi spiritati o perché Michonne con le spade è badass da paura, ci dimentichiamo di un semplicissimo fatto: questa gente è destinata a perdere. Il mondo è andato a farsi benedire in un’apocalisse zombie, e il 99% degli (ex) umani vuole mangiare il restante 1%. Dove diavolo vuoi andare?
The Walking Dead è una serie profondamente tragica, e in fondo gli spettatori la seguono proprio per quello, perché i dolori sono sempre più grandi e potenti delle gioie.
Non è un problema clinico dell’audience, evidentemente, bensì l’attrattiva che la tragedia esercita da sempre, da che esiste l’uomo: è proprio quando le cose vanno male, come peggio non si potrebbe, che tutto ciò che c’è intorno a quegli eventi (le emozioni, le scelte di vita, i valori di ognuno) assume un’importanza totale, che la commedia difficilmente più raggiungere (avendo ovviamente tutta un’altra serie di pregi).
E se parliamo di dolori, e in senso lato di sconfitte, pochi episodi di The Walking Dead sono stati forti come questo. Perché ancora una votla ogni piano, ogni mossa apparentemente intelligente trova di fronte a sé il muro della realtà, dell’impossibilità di spezzare un destino che, presto o tardi, toccherà a tutti.
Il piano di Rick si sta sfaldando: colpa soprattutto dei wolves, ovviamente, ma intanto lui a fine episodio si ritrova a bordo di un camper inutilizzabile circondato dai non morti. Sconfitto.
Michonne fa il passo più lungo della gamba quando dice al compagno di sventure che riuscirà a rivedere la moglie, anche se è già stato morso e quindi sarà solo per un saluto. Ma non c’è neanche quella possibilità, visto che il poveraccio muore smangiucchiato e schiacciato come in un concerto finito male. Sconfitta.
E poi c’è Glenn: le modalità della sua morte sono l’apice di tutta questa riflessione. Lui che tra i protagonisti è sempre stato il più buono, il più ottimista, quello che più di altri era capace di cercare e trovare il buono nelle persone, muore “per mano” di Nicholas, il frignone piagnone e viscido che Glenn aveva in qualche modo preso sotto la sua ala. Una specie di protetto, di figliol prodigo, uno che aveva fatto il male ma che secondo Glenn poteva ancora redimersi, fare del bene.
Il fatto che Nicholas effettivamente non ci riesca, il fatto che non sia in grado di aiutare Glenn a trovare una via d’uscita, decidendo infine di suicidarsi decretando anche la morte dell’amico, è un finale perfetto: è una nuova, forse definitiva morte di ogni speranza. Una speranza che se ne va via così, circondata dagli zombie, con un semplice grazie (che suona come un “grazie di aver partecipato”).
Ancora una volta, a uccidere è il pensiero che le vecchie categorie umane siano ancora valide: Glenn pensa che il mondo post-apocalittico lasci ancora spazio per la compassione, il perdono, in generale “l’attesa” di qualcosa di buono. Purtroppo non è così e chi lo pensa, anche il personaggio più preparato alla sopravvivenza, finisce col rimetterci la pelle.
Dopo aver compiuto un meraviglioso giro si torna così all’inizio, al grande tema dell’umanità: la brutta fine di Glenn, così poco epica, così brutale, così sciocca, così inutile (non riesce nemmeno a portare a termine la sua missione, come invece avrebbe fatto qualunque “sacrificato” da film hollywoodiano), mostra chiaramente che l’unico ad avere ragione è sempre Rick, quello che esorta a fare ciò che si deve, prima di ciò che una volta sembrava giusto.
Rick ha ragione, ma la ragione di Rick ci trasforma in bestie, senza nemmeno darci la certezza della vittoria. Anzi, posticipando solo il momento della sconfitta.
Che ansia. E che bello.