The Muppets: adorabili pupazzotti fra 30 Rock e The Office di Diego Castelli
Volergli bene e basta
Il primo indizio che The Muppets sarebbe potuta essere una figata l’avevamo avuto questa estate. In mezzo alle fondamentali notizie sui flirt delle veline, agli approfondimenti sugli addominali veri o presunti di Carlo Conti, alle possibili gravidanze di questa o quella vip (sarà in dolce attesa? oppure è solo la peperonata di ieri sera?), era arrivata l’ansa che non ti aspetti: dopo anni di relazione inossidabile, Kermit e Miss Piggy si sono lasciati.
Se fossero un rapper e una pornostar poco da dire, ma il fatto è che sono due pupazzi, lui una rana e lei una maialina, protagonisti della nuova serie dedicata alle mitiche creaurine ideate da Jim Henson ormai sessant’anni fa.
I muppet sono una specie di istituzione dell’intrattenimento americano, soprattutto attraverso i loro due programmi più famosi e riusciti: il Muppet Show (in onda sul finire degli anni Settanta), un varietà satirico in cui si prendeva in giro la contemporanea società dello spettacolo a stelle e strisce, e Sesame Street (ancora oggi sugli schermi), espressamente dedicato ai bambini in età prescolare.
Era però molto tempo, quasi vent’anni, che i muppet non trovavano spazio in prime time. L’idea di provare un nuovo revival è stata affidata a Bill Prady e Bob Kushell, due veterani della scrittura comica americana (il primo è co-creatore di The Big Bang Theory, giusto per dirne una) che hanno pensato a uno show in stile mockumentary, come The Office, Parks & Recreation o Modern Family: la serie racconta il dietro le quinte del Up Late with Miss Piggy, un talk show all’americana presentato dalla suina, prodotto da Kermit e messo in piedi da tutta la banda di sciamannati di stoffa.
L’intento della serie è abbastanza chiaro, fin da quelle buffe notizie giunte d’estate: l’obiettivo è la parodia di un certo mondo televisivo, fiction e non, ma si intravede anche l’idea di portare i muppet a un livello diverso rispetto alla tradizione. Normalmente considerati un gruppo unito e inscindibile, una sorta di “strumento” con cui parlare d’altro, questa volta i muppet sono chiamati a un verso approfondimento psicologico, sono chiamati insomma a diventare personaggi a tutto tondo, con una storia personale, dei sentimenti, soprattutto delle relazioni reciproche che possano far diventare The Muppets una vera serie tv, e non solo un pur brillante spettacolino di varietà.
Per quanto mi riguarda, l’obiettivo per ora è raggiuntissimo. Il segreto sta nella possibilità, per gli autori, di lavorare su due diversi livelli si scrittura, come avviene per altri prodotti di animazione tout court. In primo luogo c’è la comicità classica, l’approccio che ritroviamo anche nelle altre comedy: sfruttando ora l’egocentrismo di Miss Piggy, ora le idiosincrasie da Woody Allen di Kermit, ora la stupidità assoluta di questo o quel personaggio, The Muppets costruisce una comicità molto meta che da queste parti piace sempre e che funziona di per sé, a prescindere dal fatto che i protagonisti siano pupazzi.
Epperò poi pupazzi lo sono veramente: questo garantisce agli autori tutto un secondo livello di comicità, legato alla natura particolare dei loro protagonisti. Da qui possono nascere battute semplici ma fulminanti come quando Kermit, alla vista della nuova fiamma che è anch’essa un suino, confessa alla telecamera che beh, “mi piacciono le maiale”. Una battuta che ha ovviamente un retrogusto sessual-volgarotto subito disinnescato dal risvolto zoologico della questione.
A questa impostazione di base bisogna poi aggiungere almeno due elementi fondamentali. Il primo sono le guest star, da sempre un punto di forza del mondo dei muppet: solo nel terzo episodio ci sono Christina Applegate, Liam Hemswort e il mitico Nick Offerman (citato ieri nei serial moments), che si mettono ampiamente in gioco con versioni sopra le righe di se stessi. Varrebbe la pena di seguire la serie anche solo per sapere chi arriverà questa settimana, e poi quella dopo, ecc.
Il secondo elemento è più tecnico, e per me che non sono un grande esperto dei muppet è stata una bella sorpresa: per quanto siano pupazzi abbastanza semplici, senza enormi possibilità di movimento (specie i più piccoli), i muppet hanno un’espressività eccezionale. Questione di doppiaggio, ovviamente, ma anche di movimenti e gesti. In certi casi gli animatori riescono a trasmettere emozioni complesse con pochissimi accorgimenti, tanto che dopo una scena particolarmente carica ci si stupisce al pensiero che i personaggi che abbiamo appena visto avevano a disposizione solo una e una sola espressione del viso.
Insomma, sono soddisfatto, e non ho quasi nulla da obiettare. “Quasi” nel senso che ogni tanto sento il bisogno di un pizzico di cattiveria in più. Ogni tanto, insomma, spero che vada in onda su HBO e non su ABC: un po’ di volgarità in più, intesa non come provocazione a se stante ma come parte integrante del “dietro le quinte”, avrebbe forse garantito allo show una maggiore incisività. Allo stesso tempo, gli stessi autori hanno sì dichiarato di voler offrire un prodotto più complesso e più adulto, ma senza tradire l’anima family-friendly dei personaggi, che nessuno voleva trasformare in un contenuto VM 18. La scelta è rispettabilissima e la accettiamo, anche perché comunque è divertente lo stesso.
Poi in questi giorni ho anche sentito gente che mi diceva “no, non guardo The Muppets, ci sono i pupazzi”. Questo però vuol solo dire che siete vuoti dentro, ed è un problema che non mi compete.
Perché seguire The Muppets: è una comedy divertente di per sé, senza neanche pensare al fatto che i personaggi sono fatti di cotone. Il fatto che lo siano, poi, riesce a essere quasi sempre un plus.
Perché mollare The Muppets: solo se l’idea stessa di uno show coi pupazzi non vi va a genio.