Blindspot – Una serie tv da vorrei, ma non posso di Marco Villa
Una donna completamente tatuata che non ricorda nulla, mille misteri da risolvere: Blindspot
Si chiama Blindspot, ma avrebbero potuta chiamarla “Vorrei ma non posso”. È questa la sensazione lasciata dalla visione del pilot di questa nuova serie di NBC. “Vorrei ma non posso” perché la prima puntata è una specie di slide riassuntiva di tutti i problemi che stanno avendo le tv generaliste negli ultimi anni.
Blindspot partirà su NBC il 21 settembre e ha come creatori Greg Berlanti (responsabile di quella macchina di sensi di colpa chiamata Everwood) e Martin Gero (uno con un curriculum lungo così). La storia inizia con un borsone di tela abbandonato in mezzo a Times Square a New York: tutti temono sia una bomba, ma dalla sacca esce una ragazza nuda e completamente tatuata. La ragazza non ricorda nulla, nemmeno come si chiama, ma sulla schiena ha tatuato il nome di un agente speciale dell’FBI, che viene tosto convocato. Per farla breve, si capisce che i tatuaggi della ragazza sono messaggi e indicazioni per l’FBI: non si sa chi li abbia fatti, non si sa perché, non si sa un cazzo. Quello che si sa, invece, è che quei tatuaggi procureranno casi di puntata a cadenza settimanale, mentre sullo sfondo prenderà corpo la storia orizzontale legata a chi ha trasformato la povera Jane Doe della situazione (Jaimie Alexander una che oh, mollala) in una sorta catalogo per tatuatori.
È innegabile che il concept di Blindspot sia interessante: quella della mappa del tesoro da decifrare è una delle storie più vecchie del mondo, ma proprio per questo motivo funziona sempre. Il fatto che la mappa sia una ragazza in carne e ossa, poi, è quell’elemento di novità e cambiamento che rinvigorisce il tutto. Come detto, ci sono buone probabilità che gli archi narrativi verticali e orizzontali riescano ad amalgamarsi piuttosto bene, come già accaduto in altre serie con il misterone sullo sfondo (le prime due che mi vengono in mente: Alcatraz -che era valida nonostante gli ascolti- e più recentemente The Blacklist). A questo aggiungiamo il fatto che la serie è firmata da due professionisti in giro da tanto, per quanto non dei campioni e un buon livello medio finisce per essere pressoché assicurato.
Fin qui le note positive, ma ovviamente non stiamo parlando della serie perfetta, anche perché in caso contrario avreste letto un titolo con ventotto punti esclamativi. Il primo (gigantesco) punto debole è un cast mediamente molto cane: l’agente FBI Kurt Weller è interpretato da Sullivan Stapleton, uno che vorrebbe essere Kiefer Sutherland in 24, ma non ne ha il carisma. Siamo da quelle parti con Jaimie Alexander e in generale non c’è un solo attore che riesce a farsi notare. Idem per la regia: piatta, anzi piattissima, quella che un tempo veniva definita “televisiva” in modo dispregiativo.
L’elemento negativo principale, però, non in scrittura, regia o interpretazione, ma nel tipo di network che ha prodotto Blindspot: si tratta di NBC, una rete generalista. Ovvero una rete che non può permettersi di mandare in onda mezza tetta nemmeno per sbaglio e questo è un problema non da poco nel momento in cui un corpo nudo è il centro di tutta la narrazione. Nel pilot la povera Jaimie Alexander è costretta a fare contorsioni per non mostrare niente di pruriginoso: quando, nella prima sequenza, un poliziotto le dice di mettersi in ginocchio a mani alzate, la posa in cui si mette la protagonista è simile a quella delle modelle nelle pubblicità dei profumi, con le ginocchia incrociate. Il peggio arriva dopo: la sventurata Jane Doe prova giustamente a capire cosa le hanno tatuato addosso e per farlo si mette nuda davanti a uno specchio. Pur essendo sola nella stanza, continua a coprirsi il seno e a mettersi in posizioni che fanno calare un senso del ridicolo gigantesco su tutta la scena e incidentalmente su tutta la serie.
E il confronto con le serie cable, che possono sfruttare sesso e nudità come i potentissimi elementi di messa in scena che sono, mette NBC e quindi Blindspot in una posizione imbarazzante, perché sembra di essere davanti a uno sceneggiato RAI di cinquant’anni fa.
Questa limitazione, la povertà di talento del cast e una regia insulsa abbassano di brutto la media della serie, lasciando alla sola scrittura il compito di compensare questo scivolone. Blindspot ha tutto per essere una delle serie più stuzzicanti dell’anno, ma anche una di quelle più mediocri degli ultimi cinque. Un vorrei ma non posso, appunto.
Perché seguirla: per la storia orizzontale e per lo stratagemma sempre efficace della caccia al tesoro
Perché mollarla: perché limiti strutturali inaggirabili non permetteranno mai a Blindspot di diventare davvero bella