Orphan Black: recuperone completato! di Diego Castelli
Orphan Black entra ufficialmente nelle serie seguite da Serial Minds
L’avevo promessa e, almeno questa, l’ho mantenuta: qualche giorno fa ho terminato il recuperone di Orphan Black.
Per lungo tempo ci avevate cantato le lodi della serie di Space/BBC America e della sua protagonista, e finalmente posso dire la mia con un minimo di cognizione di causa.
Orphan Black è effettivamente una buona serie, un gradino sopra altri prodotti canadesi che sembrano copie spompe degli show a stelle e strisce. La cosa curiosa, però, è che questa sua bontà non è la somma di elementi omogenei, come fosse solo un dignitoso pacchettone e niente più. È invece un giudizio più variegato, fatto di alcuni elementi effettivamente “buoni”, altri francamente “mediocri” e alcuni, all’opposto, quasi “eccezionali”.
Il concept lo conosciamo: una ragazza scopre di essere solo una fra molti cloni e si addentra in un complottone clamoroso che coinvolge un po’ tutti quelli che conosce.
È un’idea che di per sé funzionava e continua a funzionare, capace di dare allo show una cifra distintiva abbastanza chiara nell’affollato panorama televisivo. Cioè, sembrerà banale, ma poter essere riconosciuta con tre parole (“quella dei cloni”) non è affatto una brutta cosa per una serie tv.
C’è però qualcosa, nello sviluppo generale e in alcuni dettagli, che scricchiola, e a volte neanche poco.
La prima stagione rimane la migliore: c’è un mistero da risolvere, una nebbia da diradare, viviamo i dubbi della protagonista e vogliamo fugarli insieme a lei. Avute un po’ di risposte, però, diventa tutto un po’ più piatto, meno disarmante e quindi più ordinario. Un problema soprattutto della seconda stagione, visto che la terza introduce i cloni maschi e aggiunge al tutto un nuovo ingrediente da thriller militare e sovversivo, ma che in generale impedisce di recuperare il fascino misterioso dei primi episodi.
Ci sono poi singoli problemi nella costruzione narrativa: troppo svelti certi rivolgimenti (come il rapporto fra Helena e Sarah o fra Sarah ed S, in continua fluttuazione schizofrenica), troppo deboli un paio di personaggi (citofonare Delphine e la sua faccia sempre uguale), e alcune singole scelte che banalmente non mi sono piaciute. Tra queste sicuramente l’idea di far provenire entrambi i cloni da un’unica persona: il lungo tempo passato a spiegare l’inutile concetto di doppia linea cellulare poteva essere usato per mostrarci due versioni invecchiate dei cloni, l’avrei largamente preferito.
Più in generale, anche Orphan Black cade in una trappola tipica degli show complottisti: manca un po’ di respiro, nel momento in cui il sistema di personaggi trova una rocciosa stabilità e tutte ma proprio tutte le questioni passano attraverso non più di dieci persone e non più di quattro-cinque stanze. In alcuni casi mi ha fatto proprio incazzare, tipicamente quando sembravamo sul punto di vedere del gran sangue, e poi ognuno tornava a casa sua come se niente fosse. Come dire: ti ammezzerei, ma se torni subito a casa tua ti risparmio.
Insomma, storia interessante, ma con qualche zona d’ombra.
E qui però arrivano i pregi, ed è roba che spariglia le carte. Per quanto a volte possa inciampare su se stessa, Orphan Black ha una straordinaria capacità di farci affezionare ai suoi personaggi, o almeno la maggior parte. A Sarah e alla sua bambina coi dentoni, a Cosima che rischia di morire E di farsi spezzare il cuore a ogni episodio, a Alison e alle sue avventure da Breaking Bad, a Felix che ogni tanto vorrebbe solo potersene stare per i fatti suoi, a Donnie che è un patatone fantastico. Ultima ma non meno importante Helena, che nel giro di tre stagioni passa da essere il cattivo (o almeno “un” cattivo) a una dei migliori buoni, mantenendo però quelle caratteristiche di follia che ne fanno un meraviglioso freak: i vestiti ridicoli, lo sguardo sempre stupito, l’accento buffo, una strana eppure coerente forma di onore ed etica. Quando va a riprendersi i suoi “babies”, sterminando gli spacciatori che minacciavano la sicurezza di Donnie ed Alison, non possono che partire sentitissimi applausi.
Il tutto supportato da una tecnica visiva non comune in televisione: le interazioni fra i diversi personaggi interpretati dalla stessa attrice sfiorano spesso la perfezione, senza sguardi nel vuoto, senza green screen evidenti, con una fluidità e una pulizia degli effetti che, come dovrebbe sempre essere, nascondono la loro stessa presenza.
Parlando di effetti speciali e di affezione per i personaggi abbiamo sfiorato la questione centrale: Tatiana Maslany è effettivamente clamorosa.
Non è solo questione di interpretare più personaggi. Primo perché si suppone che qualunque attore decente sia in grado di farlo (anche se spesso non è così) e poi perché, anche per ragioni di chiarezza e comprensibilità, tolta Sarah gli altri cloni sono abbastanza estremizzati, al limite del macchiettistico: la casalinga disperata Alison e la pazza Helena dovrebbero bastare come esempi. Dove però si sale prepotentemente di livello è nelle continue combinazioni: Helena che finge di essere Beth, Alison che impersona Cosima, Sarah che prende il posto di Rachel, e tutti gli altri incroci. È in questi casi che la Maslany spacca tutto, nelle situazioni in cui ci rendiamo conto che non si tratta solo del pur importante trucco e parrucco: no, i vari cloni hanno una tale ricchezza e precisione di toni, gesti, accenti e sfumature, che anche quando un clone ne interpreta un altro percepiamo in modo evidente la sua personalità sotto il camuffamento. Dopo tre anni le combinazioni sono talmente tante che ormai ci sembra incredibile che venga tutto da una sola persona, con quella credibilità, con quella forza. Per dirla banalmente, non facciamo mai e poi mai confusione fra i cloni, nemmeno quando fingono di essere chi non sono.
La ciliegina sulla torta sono le interviste extratelefilmiche a Tatiana: ha una presenza scenica e una gestualità completamente diverse da tutti i suoi personaggi, perfino da Sarah che sembra la più “normale”. C’è di chi è essere abbastanza stupiti!
Se vogliamo guardarla in ottica Emmy, visto che siamo a pochi giorni dalla premiazione 2015, possiamo dire che Orphan Black difficilmente sarà mai capace di prendersi la nomination come miglior drama, ma non darle quella per la miglior attrice suona come un delitto. Quest’anno ce l’ha, e quindi stiamo buoni.
Il risultato di tutta questa bravura supera abbastanza agilmente gli altri limiti, impedendo allo spettatore di andar via anche quando rischa di annoiarsi un po’: finché ci sarà lei, finché ci saranno “loro”, non potremo abbandonarle. Ormai siamo una famiglia.