Narcos – Una serie bomba, nonostante tutto di Marco Villa
Non è perfetta, anzi. Però quando Narcos finisce ci si sente abbandonati e questa è una prerogativa delle grandi serie.
[ATTENZIONE: PICCOLI SPOILER QUA E LÀ, MA NIENTE DI TRAGICO]
L’abbiamo detto subito: Narcos è la prima grande serie della nuova stagione. Non era un pronostico difficile e a posteriori si può dire che i primi due episodi contenevano già tutto il buono e tutto il cattivo di Narcos.
La serie tv di Netflix su Pablo Escobar ha avuto soprattutto un grandissimo pregio: la capacità di tenere lo spettatore incollato al divano. Personalmente, era da molto che non mi capitava di dover divorare una serie in questo modo. Ho usato il verbo dovere perché la sensazione era quella: per i pochi giorni che è durata la visione, il dopo-cena infinito con visione a nastro era uno dei punti cruciali della giornata, uno dei momenti più attesi. E visto che negli ultimi tempi l’equilibrio tra qualità e quantità di serie si è drasticamente spostato verso il secondo piatto della bilancia, questa è stata una cosa non da poco.
Wagner Moura Superstar
Gli elementi chiave che hanno portato a questo risultato sono due, ma rispondono entrambi al nome di Pablo Escobar. Il primo è il vero Escobar, quello che è partito da piccolo contrabbandiere ed è diventato uno degli uomini più ricchi del mondo grazie al traffico di cocaina. Lui, la sua storia, il fascino morboso che caratterizza ogni storia criminale: il soggetto della serie, in sostanza. Diciamolo chiaro: con una storia così e con un personaggio del genere si partiva già in ottima posizione. Il secondo Escobar è quello dello schermo, quello interpretato da un Wagner Moura in versione monstre. La faccia qusi sempre mezza ebete o assente, gli scatti d’ira improvvisi e la scelta fantastica di caratterizzazione che lo ha portato a recitare tante battute a fiato cortissimo, con i polmoni pieni di fumo. Moura è riuscito a essere sul pezzo sempre e comunque, sia quando Pablo ammazza qualcuno a mani nude, sia in quei pochissimi minuti in cui siede in parlamento. Sono i due estremi del personaggio e della storia, due punti talmente distanti da loro da garantire, in mezzo, una vicenda di enorme interesse.
Escobar è l’unico personaggio scritto e interpretato a questi livelli, ma basta e avanza per tenere in piedi la serie e renderla qualcosa di irrinunciabile per chiunque inizi a vederla. E questo nonostante i difetti della prima stagione.
Quel maledetto voice over
Il principale punto debole lo avevamo citato già in partenza ed è purtroppo da confermare: il voice over. Di fatto, ogni sequenza di Narcos viene introdotta da un voice over che spiega per filo e per segno cosa è successo, cosa succederà e che termina con dei punti di sospensione per creare un po’ di suspense. Sempre, così. Sempre, sempre, sempre, anche quando non serviva. Una voce guida di questo tipo è utile perché permette di aprire nuove linee narrative in mezzo secondo (pensiamo a tutto il discorso legato alla presidenza della repubblica, spiegata con estrema facilità), ma se usata in modo massiccio è una chiara dichiarazione di sfiducia nello spettatore e una rinuncia netta a una costruzione progressiva di storie e personaggi.
Piccola divagazione: pochi giorni dopo aver finito Narcos, sono andato al Festival del Cinema di Venezia: il film più bello che ho visto è El Clan di Pablo Trapero (Leone D’Argento) e tutta la sua bellezza sta nello scoprire poco alla volta e senza aiuti i vari protagonisti e l’orizzonte narrativo in cui si muovono. Un’esperienza che in Narcos non si verifica mai, perché tutto è presentato in modo diretto e senza lasciare zone d’ombra. Portata agli eccessi, questa impostazione conduce a momenti di pessima scrittura, come la vicenda della capa-guerrigliera, che, dopo piccoli accenni nei primi episodi, viene introdotta dall’alto, portata avanti senza legami con il resto della narrazione e con grande uso di voice over e poi eliminata con un colpo di penna.
E Netflix non scherza mai
Questo accanimento sul voice over può sembrare eccessivo, ma la sensazione è che si tratti dell’elemento che impedisce a Narcos di piazzarsi tra i grandi titoli assoluti della serialità. A naso, la seconda stagione dovrebbe concentrarsi maggiormente sulla sfida Escobar-DEA, lasciando da parte milioni di personaggi e intrecci. Potrebbe essere la situazione ideale per mollare questo narratore pesantone con l’accento del sud e lasciar esplodere la storia in tutta la sua potenza, senza aiutini da casa. Speriamo.
Nonostante questo, però, terminata la visione della prima stagione ci si sente come abbandonati. E questo, ormai lo sappiamo, succede solo con le serie veramente belle. Complimenti a Netflix, che ha una serie tv potentissima per lanciarsi sul mercato italiano.