4 Settembre 2015 53 commenti

Mr. Robot Season Finale: molti elogi e una punta di sobrietà di Diego Castelli

Nota redazionale: se scrivo subito dopo cena i post mi vengono troppo lunghi

Copertina, On Air

Mr. Robot Season Finale (6)

 

OCCHIO, SPOILER SU TUTTA LA PRIMA STAGIONE!

 

Ogni tanto, specie quando non gli è piaciuta la recensione di un pilot, arriva un lettore che ci contesta il fatto di giudicare già il “primo episodio”, senza aspettare di vedere qualcosa in più di una serie per poterla comprendere meglio. Una posizione che non mi trova per nulla d’accordo, per vari motivi. Prima di tutto è divertente, e noi siamo qui per divertirci. Secondo, se una serie non sa prenderti dal primo episodio, vuol dire che ha fatto qualche errore (e di errori così ne hanno fatti anche serie ottime come Fringe o Parks & Recreation). Terzo, per chi ha la passione di scrivere è molto bello e stimolante andare a rileggere articoli di mesi o anni prima, per scoprire i vecchi se stessi, per vedere cosa ci aveva colpito di un pilot scoprendo che a distanza di tempo la nostra opinione è cambiata e in che modo.
Per questo ho trovato molto divertente rileggere la mia recensione del pilot di Mr. Robot, una recensione certamente positiva ma che metteva in luce anche alcuni difetti e possibili rischi per il futuro. Ora, a distanza di qualche settimana e con la prima stagione ormai archiviata, parte di quei ragionamenti è ancora valida, parte non lo è più, parte è stata sfumata.

Cominciamo col dire quello che in questa stagione ha funzionato.
Mr. Robot è probabilmente una delle migliori novità dell’anno, un risultato a cui ha contribuito anche la furba collocazione estiva: un buon cioccolatino è sempre buono, ma la nostra percezione di esso cambia a seconda che accanto abbia un bel cannolo oppure un pezzo di cartone spalmato di nutella scaduta.
Mi sembra che gli elementi che più hanno contribuito a questo risultato siano sostanzialmente due: il personaggio di Elliot, e il modo in cui la sua personalità e la sua vicenda siano state illustrate sullo schermo. Come già ebbi modo di dire a suo tempo, Elliot è un personaggio fortissimo. Riesce a unire una certa sfigaggine solitaria (buona per l’identificazione reale di tanti spettatori me compreso), a un’intelligenza fuori dal comune (buona per l’identificazione sur-reale di tanti spettatori me compreso), a un’etica personale e insieme universale da supereroe della tastiera (buona per l’identificazione di un po’ tutti). È insomma un personaggio dai tratti particolarissimi – allucinato, emaciato, paranoico, ossessivo, schizoide – ma che riesce a instaurare con lo spettatore un rapporto personale di affetto e complicità. Sulla carta, ognuno di noi si sente diversissimo da Elliot. Eppure, in qualche modo siamo come lui. Anzi, siamo lui.
A questo risultato contribuisce ovviamente la grande interpretazione di Rami Malek. Il suo Elliot è così preciso ed efficace, da attivare quel meccanismo per cui non possiamo immaginare che nella vita extratelefilmica sia diverso da come lo vediamo in Mr. Robot. Non ho ancora visto una sua intervista, ma sono sicuro che mi stupirò molto appena mi capiterà, perché fin dalla prima scena della serie, dal primo sguardo pallato, Elliot è pienamente reale (proprio lui che con la definizione di realtà ha un sacco di problemi).

Mr. Robot Season Finale (3)

Si diceva della messa in scena: tutta Mr. Robot gira attorno al punto di vista di Elliot, le cui percezioni sappiamo essere distorte e difettose. È un punto di vista che fin da subito coinvolge l’intera struttura visiva della serie, in cui la maggior parte delle inquadrature (o comunque tutte quelle che contano) sono decentrate e sfalsate rispetto al normale canone televisivo e cinematografico. Il trucco più usato è quello di inquadrare una persona che parla, lasciando spazio dietro di lei e non davanti: questo semplice escamotage, ripetuto ossessivamente in tutti gli episodi, restituisce un’atmosfera di precarietà e di disordine che è poi l’ambiente oscuro e allucinato in cui si muove la mente di Elliot. Stesso discorso per certe inquadrature in cui la testa del protagonista è piccolissima rispetto a uno sfondo grande, piatto e vuoto: tutte tecniche volte a mostrare la fragilità della psiche di Elliot all’interno di un mondo vasto e poco accogliente, e dunque pericoloso. Risponde tutto all’esigenza di mettere a disagio lo spettatore, di fargli percepire sempre e comunque che “qualcosa non va”.

In buona parte, questo qualcosa è proprio Mr. Robot. Nella recensione del pilot avevamo sottolineato come la serie sembrasse suggerire fin da subito la potenziale irrealtà del personaggio di Christian Slater. Una tale quantità di indizi che tutto potevano essere tranne che casuali. Alla fine le cose stavano effettivamente così : Mr. Robot non esiste, o per lo meno non esiste nel presente della storia, e di fatto è tutt’uno con Elliot, che soffre di un disturbo dissociativo della personalità. Non è un’idea originale di per sé, nemmeno considerando il fatto che vediamo Mr. Robot interagire con altri personaggi oltre a Elliot. Tanto per fare un esempio (anzi, l’esempio) citato esplicitamente da Esmail, succedeva anche in un filmettino di quasi vent’anni fa, una cosina semi-sconosciuta di cui non si ricorda nessuno, che risponde al nome di Fight Club.
Nonostante questo, il creatore Sam Esmail riesce comunque a far funzionare il meccanismo: ci dà tanti indizi, che però nel corso degli episodi tendono a diluirsi e in parte contraddirsi, fino ad arrivare a una risoluzione che sì, avevamo previsto, ma che a quel punto ci coglie comunque nel pieno dell’emotività. Ancora una volta la regia conta tantissimo, se è vero che uno dei momenti più forti arriva quando ormai sappiamo tutto: parlo del confronto tra Elliot e Mr. Robot nell’episodio finale, dove i due si scontrano anche fisicamente in mezzo a una folla incuriosita che vede un tizio urlare contro se stesso, e dove un montaggio scattoso e volutamente “imperfetto” svela ancora una volta la natura profondamente instabile della mente di Elliot.

Mr. Robot season finale (7)

Ed è proprio all’interno del rapporto tra il protagonista e il suo alter ego/padre defunto che possiamo sciogliere un equivoco che ci portavamo dietro fin dal pilot. A suo tempo avevo giudicato un po’ aspramente il fatto che questo racconto apparentemente iperfilosofico, tutto basato sulle elucubrazioni cervellotiche di un genio dell’informatica, si risolvesse in realtà in una lotta contro un’azienda cattiva. Con l’andare degli episodi, si scopre che in realtà la Evil Corp è appena più di un pretesto: il vero fulcro dell’azione drammatica non è nella lotta informatica alla megacompagnia (che pure giustamente infiamma i cuori degli esperti di computer, che hanno trovato in Mr. Robot una serie molto più realistica e rigorosa della media). Il nocciolo della questione è la lotta di Elliot contro se stesso. Il “cattivo”, in Mr. Robot, non è la Evil Corp, è Mr. Robot. Il finale in questo senso è chiarissimo: Elliot osserva la devastazione che lo circonda, le rivolte di piazza e i disordini, e inorridisce al pensiero di essere stato lui a causarle. La sua vendetta personale è diventata una guerra globale che lui non voleva, o non voleva in quei termini, ma che il suo esaltato alter ego ha preteso e ottenuto. Una lotta interiore dunque, tra un lato oscuro affascinante e ribelle (non dimentichiamo che all’inizio della storia Elliot sembra cedere alle lusinghe di Mr. Robot), e una coscienza che pondera con maggiore attenzione le conseguenze del proprio operato. Nessuna scena che racconti della lotta alla Evil Corp eguaglia in potenza le sequenze in cui un Elliot spaesato e sconvolto comprende la devastante portata della sua follia: Mr. Robot è un nemico invisibile e imbattibile, perché non c’è battaglia più dura da combattere di quella contro se stessi.
Una condizione, quella di Elliot, che si fa metafora più grande, di una società e di un tempo storico che vive di passioni laceranti e continue “chiamate alle armi”, stemperate dal tentativo di rimanere presenti a se stessi per non compiere il passo più lungo della gamba (che si parli di un singolo ragazzo o del governo di un paese).
Il giudizio della serie sull’operato di Mr. Robot, d’altronde, non è positivo: le sue azioni, più che garantire salvifica vendetta, generano caos e sembrano destinate al nulla, all’anarchia indefinita, come testimoniano sia la generale amarezza dei compagni di battaglia di Elliot (ridotti alla fine a un generico “e mo’ che si fa?”), sia la consapevolezza che una volta caduto uno dei poteri forti, ce n’è subito un altro pronto a prendere il suo posto.

Mr. Robot Season Finale (1)

Si arriverebbe a questo punto a un giudizio finale: ciò che era bello è rimasto bello, ciò che sembrava brutto è migliorato.
In realtà c’è ancora qualcosa che scricchiola, qualcosa che mi impedisce di partecipare a una certa esaltazione collettiva che si affretta a mettere Mr. Robot sullo stesso piano di mostri sacri tipo Breaking Bad. Io andrei cauto su questo punto, e per più di un motivo.
Abbiamo detto che la lotta alla Evil Corp era un pretesto per parlare di Elliot. Bene, ma questo non toglie che molto spazio narrativo sia stato dedicato a questa battaglia. E non mi è parso che, da questo punto di vista, si potesse gridare al miracolo: la narrazione è stata a volte farraginosa, la tensione drammatica non sempre impeccabile. Più in generale, la scrittura di Mr. Robot è furbacchiona: come con Rust Cohle in True Detective, la bellezza di certi ragionamenti, l’incisività di certe singole scene, hanno mascherato una struttura tutto sommato ordinaria, in cui alcuni elementi erano meno curati di altri. Vi ricordate quando nel primo episodio vi dicevo che il cagnolino era un espediente un po’ pacchiano per farci stare simpatico Elliot? Ecco, nelle settimane successive del cagnolino non ce n’è più fregato niente, e non era il solo elemento buttato un po’ lì.
A questo va aggiunto un curioso paradosso: c’è la sensazione che il primo ciclo di episodi si sia già giocato molte carte importanti, svelando pienamente le allucinazioni di Elliot e quindi eliminando un elemento rilevante della suspense, ma allo stesso tempo il season finale è sembrato poco conclusivo e molto transitorio. Esmail ha spiegato che nella sua idea iniziale Mr. Robot doveva essere un film, il che fa sospettare di aver assistito solo al primo atto di una storia che deve ancora svilupparsi pienamente dopo che l’attacco alla Evil Corp è già stato sferrato. In questo senso, il misterioso “bussatore di porte” del finale, unito al dialogo post-titoli di coda fra Price e Whiterose (quei due insieme?!?), dovrebbe dare nuovo impulso alla storia per la prossima stagione. Vedremo se sarà così, magari l’importanza dello scontro interiore di Elliot diminuirà a favore di una sfida “esterna” più complessa e difficile, intanto però abbiamo assistito a qualche rallentamento di troppo e a un finale fatto di molte buone scene ma anche di tante ulteriori promesse.

Secondo elemento di perplessità è la sostanziale inconsistenza dei comprimari. Prendete altre belle serie molto basate su un singolo personaggio/attore: Breaking Bad, House, Dexter, Orphan Black. Anche in queste storie così “personali”, c’è sempre almeno un personaggio secondario che spicca, che cattura l’attenzione o magari l’affetto dello spettatore. Jesse Pinkman (e Saul, e Mike, e Gustavo), Wilson, Debra, Felix: tutte spalle, ma capaci tante volte di rubare la scena ai protagonisti. In Mr. Robot a mio giudizio non succede, o non succede ancora, né coi buoni né coi cattivi. Quella che ci va più vicino è Angela (che belle le scarpe sporche di sangue), in parte ci si avvicina Tyrell (inquietantissimo il dialogo Elliot-Joanna). Ma non è ancora abbastanza. Per dirla in parole povere: in tutte le scene in cui non c’è Elliot, vorremmo che si tornasse al più presto da Elliot. Questo dice qualcosa sulla forza del protagonista, ma dice anche qualcos’altro sullo scarso appeal di tutti gli altri. Ovviamente compreso Mr. Robot, per il quale Christian Slater è un miscasting clamoroso: ogni volta che compare sullo schermo pensi di stare guardando una brutta serie di NBC che verrà cancellata tra poco.

Mr. Robot Season Finale (5)

In ultimo, è bene sottolineare un problema che mi pareva marginale all’inizio, ma che è diventato più importante con l’andare delle settimane. Di episodio in episodio ho letto molti commenti, sia italiani che esteri, di persone che si entusiasmavano per Mr. Robot proprio in virtù del suo messaggio di ribellione, di sfida alla società costituita, come se la serie di USA Network fosse un guanto di sfida a tutto il resto.
Ehm, no.
Prima di tutto queste persone non hanno capito il reale tema della serie, come spiegato più sopra. In secondo luogo, se pensate che una serie americana, prodotta da una rete che fa capo a una delle più grandi corporazioni del mondo, vi stia mandando un profetico messaggio anticorporativo, ecco, ripensateci. Lasciamo stare i discorsi rivoluzionari, che non possono arrivare da una serie tv americana. Recuperiamo le nostre facoltà mentali e lasciamo che i telefilm ci divertano e magari ci facciano pure pensare, ma non che ci insegnino a vivere. Sennò il passo verso le scie chimiche diventa troppo breve.

Cazzarola quanto ho sproloquiato! Siete ancora con me? Vi voglio bene.
La chiudo qui, ristabilendo un attimo l’ordine: quando metto gli elogi in cima e le critiche in fondo, queste ultime finiscono col risultare più pesanti. No, capiamoci: Mr. Robot è un’ottima serie, intensa, magistralmente interpretata, stilisticamente coraggiosa e, cosa che non guasta, furba quanto basta per inserirsi in un ambiente culturale in cui il complotto e il sotterfugio tirano più di qualunque altra cosa. Secondo me è ancora presto per metterla al pari di altri mostri sacri, e ci sono serie ugualmente giovani che sono forse meno ficcanti su certi aspetti, ma più complete ed equilibrate nel complesso (mi viene in mente Halt & Catch Fire). Questo però non significa che Mr. Robot non abbia le potenzialità per diventare un cult assoluto, né vuol dire che non sia già adesso varie spanne sopra la media. Avercene di serie così, d’estate poi non ne parliamo…

Mr. Robot Season Finale (2)

 

PS: mi pare abbastanza comprensibile la decisione di spostare avanti di una settimana il finale dopo la sparatoria in Virginia: il suicidio in diretta di Plouffe era troppo esplicito, troppo crudo. Mandato in onda il giorno dopo gli omicidi avrebbe solo fatto calare una valanga di insulti sulla rete, e non se lo potevano permettere.



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