Sense8 prima stagione: ma non si era detto che migliorava? di Diego Castelli
Dopo dodici episodi confermo: delusione
SPOILER VARI SU TUTTA LA PRIMA STAGIONE DI SENSE8
Attenzione, siamo a un momento cruciale della storia di Serial Minds: potrei aver trovato il mio Vikings.
NOTA DI CONTESTO:
All’interno dell’epica serialmindesca, un “Vikings” è una serie che il recensore arriva a detestare, per poi essere investito da una valanga di insulti più o meno cordiali che lo fanno sentire un eroe solo-contro-tutti (o un Don Chisciotte contro i mulini a vento, questo dipende dal momento).
Il Villa ha per l’appunto Vikings, io pensavo di aver trovato la mia personale crociata in Outlander, ma al contrario del Villa (che comunque due stagioni di Vikings se l’è viste), io Outlander ho dovuto mollarla dopo due episodi perché mi sanguinavano gli occhi e il mio oculista m’ha detto che non era un bel segnale.
Ora forse siamo alla svolta. Sense8 può essere il mio Vikings.
Dopo aver recensito due episodi e averli trovati assai più mosci e senza idee del previsto, ho proseguito la visione fino alla fine, un po’ per curiosità “professionale”, diciamo così, e un po’ perché comunque non potevo essere sordo ai molti messaggi e commenti che dicevano “vai avanti, che dopo un inizio complicato migliora e non ti stacchi più”.
Ehm… no, scusate, ma non migliora affatto. Ho fatto una fatica boia ad arrivare alla fine di Sense8, stupendomi di quanto dodici-episodi-dodici potessero essere così uguali uno all’altro.
Non stiamo a rifare l’introduzione totale sulla serie, per quello c’è il vecchio post. Ricordiamo solo le caratteristiche principali: otto protagonisti provenienti da ogni parte del mondo che in qualche modo sono collegati spiritualmente e sensorialmente uno all’altro; otto storie singole che si uniscono in una storia più grande; un po’ di mistero, misticismo e romanticismo; la regia volutamente ampollosa e allegorica dei Wachowski, che da sempre, ogni volta che il salumiere dice “è un po’ di più, cosa faccio lascio?” rispondono con “no no, aggiungi altri tre chili”.
Nei primi due episodi di Sense8 vedevo soprattutto un problema di scrittura, più che di messa in scena, e la situazione è rimasta tale e quale nel resto della stagione. Certo, col passare del tempo lo spettatore conosce meglio i protagonisti e quindi risolve lo spaesamento dei primi, densissimi minuti. Allo stesso tempo, nei dodici episodi non sono arrivato a provare affetto praticamente per alcuno dei personaggi.
A fronte di un’impostazione generale che punta al cosmico, le loro storie singole sono abbastanza banalotte, e fino alla fine danno l’impressione di essere abbozzate, appena accennate, in attesa di chissà quale approfondimento (intanto però son dodici ore che guardo sta roba).
Ovviamente alcune sottotrame sono meglio di altre, diciamo che stiamo metà e metà: bene Nomi, Lito, Sun, Capheus (anche solo per l’amore per Van Damme), molto goffe e poco interessanti Wolfgang, Riley (l’avrei presa a sberle in OGNI scena), Will e Kala. Quest’ultima in particolare merita solo calci in bocca: all’inizio pensi che il matrimonio sia combinato (siamo in India, e lei dice di non amare il promesso sposo, faccio due più due…); poi però si scopre che non è affatto combinato, anzi sarebbe il primo matrimonio d’amore della famiglia. Solo che lei non lo ama. E ci sta insieme lo stesso. Quindi? Dov’è la storia? La storia è solo che è scema.
Accanto alle storie personali ci sarebbe poi la trama globale. Quasi non pervenuta. Episodi su episodi su episodi a farmi vedere i personaggi che intersecano i sensi (ho capitoooooooo), e poi la vicenda generale rimane legata ad alcuni tizi che cercano di sensates in quanto sensates e quindi bisogna proteggerli. Non c’è vero scopo, non c’è vera motivazione, scappiamo perché ci cacciano, e morta lì. Aggiungiamoci giusto un cattivo piatto come una piastrella che se la mena perché se ti guarda negli occhi ti legge nel pensiero.
Tra l’altro ho trovato pessima l’idea di descrivere i sensates come una sorta di evoluzione dell’homo sapiens. Ma come? Costruisci un racconto sul fatto di essere tutti connessi, tutti legati al di là di razza-religione-provenienza, e poi quelli che sono connessi sono tali in quanto specie diversa dagli umani normali? Come a dire che per noi poveracci non c’è scampo? Scusa ma io mi incazzo un filo.
La banalità della storia, veramente esile in quasi tutte le sue diramazioni, riesce anche a concretizzarsi in alcuni momenti e scelte completamente ridicole. Faccio due esempi.
Il primo è il fatto che in questo racconto ampissimo, articolatissimo, globale e universale, anche le detenute della prigione coreana parlano perfettamente inglese.
Wait… what?
Non è un dettaglio da poco, che peraltro ci aveva già fatto mal digerire Tyrant. Qui è peggio, perché i Wachowski, tutti tesi a scrivere e girare un raccontone esistenziale e metafisico, cedono poi a biechissime esigenze di comprensibilità nazionalpopolare facendo parlare in inglese anche i senzatetto africani. Quanto sarebbe stato più forte se i sensates avessero parlato in inglese tra di loro, ma sempre nella loro lingua natia con gli altri personaggi? Invece no, tutto uguale, tutto piatto.
Secondo esempio, più specifico: il povero Lito, rimasto momentaneamente senza l’amore della sua vita, tenta il suicidio sparandosi in bocca. La pistola però è finta, è un accendino. Fin qui mi sta bene. Poi però Lito se ne esce con una frase tipo: “la pistola è finta, come la mia vita”. Ora, io capisco che Lito sia il personaggio-telenovela, e che molte delle sue reazioni debbano essere più esagerate o melodrammatiche di altre (fa parte dell’ironia quasi metatestuale del personaggio), ma questa frase è semplicemente orrenda, una frase scritta da cani in un momento teoricamente drammaticissimo. Ho riso molto forte.
Ah aspetta, c’è un altro esempio importante. Per quanto Sense8 non sia una storia di supereroi, è evidente che prendere otto personaggi da otto parti del mondo suggerisce allo spettatore la formazione di una “squadra” con abilità diverse, persone che possano trovare proprio nella diversità la loro maggiore forza. Che poi non vadano a caccia di supercriminali va bene lo stesso, ma il concetto rimane. Soprattutto, è suggerito dalla serie.
Peccato che questo aspetto, tematicamente interessante e potenzialmente molto utile per caratterizzare i personaggi, sia trattato malissimo. Di fatto la divisione è tra personaggi che picchiano e altri che non lo fanno. Quelli che non lo fanno devono dare il loro (scarso) contributo in modo via via più ridicolo: Nomi fa l’hacker, è mi sta anche bene; Lito a un certo punto dice che lui è più bravo a dire le bugie: cazzo che abilità incredibile, che magia! E poi sempre lei, la meravigliosa Kala, che a un certo punto costruisce una bomba, in ventisei secondi, con ingredienti da cucina.
Lo posso dire un’altra volta? Kala costruisce una bomba in ventisei secondi con ingredienti da cucina. Riesco quasi a vedere gli sceneggiatori in difficoltà:
-Oh questa non sa fare niente, solo lamentarsi di scelte che ha fatto lei, che le facciamo fare?
-Boh, un paio di volte abbiamo detto che è una scienziata, e abbiamo sottolineato centoventisette volte che suo padre cucina benissimo, potremmo unire le due cose…
-Eh ma tipo? Le facciamo preparare una torta avvelenata per i cattivi?
-No dai, facciamo che diventa MacGyver e costruisce una bomba con acqua minerale e pomodoro.
-Caspita, tu sei davvero un genio della sceneggiatura, facciamolo!
Per proseguire vai a pagina due, mica ho finito.