Mr. Robot: la serie che sta piacendo a tutti, forse troppo? di Diego Castelli
Sì ok, bella, però…
QUALCHE SPOILER SUL PRIMO EPISODIO NON SI POTEVA PROPRIO EVITARE
Negli ultimi giorni è successa una cosa strana: diverse persone, senza alcuna connessione una con l’altra, mi hanno scritto privatamente o in pubblico per consigliarmi la visione del pilot di Mr Robot.
Siccome non succede praticamente mai, e non è successo con serie che ora guardo come un drogato in crisi di astinenza, la mia immediata reazione non poteva essere altro se non: “eh la madonna, e che è?!?”
Probabilmente, col senno di poi, non è stata nemmeno una buona mossa mettermi troppe aspettative, perché ora son qui a dirvi: bella, ma pensavo di più.
Andiamo con ordine. Mr. Robot è la nuova serie thriller-complottista di USA Network, che debutterà ufficialmente il 24 giugno ma il cui pilot è già.. coff coff… disponibile.
Creata da Sam Esmail – che per ora sul curriculum ha soprattutto il fatto di essere il fidanzato di Emmy Rossum, mannaggia a lui – Mr. Robot rappresenta anche il ritorno in tv di Christian Slater, che negli ultimi anni ha collezionato un’invidiabile sequela di insuccessi seriali (Mind Games, Breaking In, The Forgotten ecc).
Il protagonista però non è lui (saggia idea) bensì Rami Malek, che interpreta Elliot, un abile esperto informatico che in termini di socialità fa sembrare il dottor House un compagnone.
Di giorno Elliot lavora controvoglia in un’azienda di sicurezza informatica, mentre di notte diventa una sorta di vigilante digitale, uno che ti hackera anche il telecomando della tv per sapere tutto di te e, nel caso tu sia un cattivo, smascherarti e metterti con le spalle al muro.
La svolta nella cupa vita di Elliot arriva quando il misterioso Mr. Robot (che è Slater) lo recluta nel suo gruppo di hacker segreti per buttare giù una megacorporazione malvagissima, la stessa che Elliot dovrebbe proteggere al lavoro.
Sono convinto a metà, come dicevo.
In realtà si parte molto bene, e tutta la prima parte del pilot è davvero buona: c’è un’atmosfera plumbea e fascinosa che circonda la pur grigia vita di Elliot, una cappa di segretezza quasi mistica che facilita la costruzione di una suspense giocata su pochi ma efficaci elementi. Una frase qui, uno sguardo lì, piccoli fremiti audiovisivi che trasmettono una disturbante idea di insicurezza. Inoltre, dettaglio assai importante, Esmail merita un monumento anche solo per il fatto di non usare effettoni speciali e raggi cosmici per cercare di visualizzare in qualche modo l’attività dell’hacker. Pur sapendo che il 99% degli spettatori non capirà niente di tutti i termini tecnici e dei macchinari coinvolti, gli autori riescono a tenere alta la tensione senza bisogno di strane “magie”, ma semplicemente facendo vedere un tizio un sfigato-ma-geniale che sta a una tastiera (con buona pace delle varie baracconate tipo CSI Cyber, o Intelligence). In questo mi ricorda un po’ Daredevil, nella rappresentazione quasi minimale di un’attività solitamente riempita di fronzoli visivi non sempre necessari.
Ed è proprio con il personaggio di Elliot che Mr. Robot dà il suo meglio. Depresso, paranoico, anche semplicemente “strano”, Elliot gioca fin da subito sui binari della follia allucinatoria, del complottismo da scie chimiche, della contorta moralità degli hacker.
Il tema è ormai anzianotto (Matrix è del 1999, per dire), e per certi versi anche banale: di eroi (o sedicenti tali) che combattono contro il mondo tentacolare delle multinazionali è piena sia la finzione che la realtà, quindi niente che stupisca particolarmente. Ma il personaggio di Elliot, perfettamente rappresentato da Malek (fisico asciutto e vagamente malaticcio, occhi stralunati, espressione da genio folle), riesce ad avere effettivamente una marcia in più: è talmente chiara la sua centralità nella storia che gli viene anche concessa la voce fuori campo, che per tutta la durata del pilot ci racconta i suoi pensieri e riflessioni, delineando una personalità complessa, mossa da motivazioni a volte contrastanti, portatrice di una esplicita forma di confusione (la difficoltà a distinguere la realtà dalla fantasia , le sedute dalla psicologa) montata su una base di idealismo più genuino e spontaneo.
Un personaggio ben calato nel suo tempo, insomma, che rappresenta il primo e più immediato motivo di interesse per la serie.
Non è però tutto oro quello che luccica. L’attenzione posta sul protagonista e sull’atmosfera che lo circonda, la voglia cioè di darci un personaggio che sia subito riconoscibile e accattivante (missione compiuta) porta a qualche vistoso scivolone in altri momenti del pilot. La comparsa di Christian Slater, manco a farlo apposta, segna l’inizio della fase discendente dell’episodio, dove un certo misticismo digitale delle prime scene lascia spazio a una trama molto più banale: c’è la megacorporazione cattiva che in quanto hacker dal cuore d’oro dobbiamo buttare giù. Come dire, messa così fa già meno impressione…
Dalla raffinatezza delle prime scene, in cui la voce ipnotica di Elliot promette grandissime cose, si passa a sequenze ben più ordinarie, sia dal punto di vista dialogico che registico. Il ritmo della prima mezz’ora diventa meno incalzante, e si arriva anche a certe ruffianate francamente evitabili: se mi sta bene che ci sia un interesse amoroso per Elliot, e che lavori con lui (diamogli almeno un motivo per rimanere in quell’azienda), mi pare più forzato e sempliciotto il fatto che la decisione finale di “scendere in campo” sia dovuta al fatto che trattano male la ragazza. Così come, nel finale, l’adozione di un cucciolo diventa un ulteriore, superfluo cartellone al neon: sì, abbiamo capito che Elliot è un ragazzo strano ma in fondo tanto buono, piantatela di sottolinearlo ogni due scene.
Su tutto, poi, aleggia il pericolo del già visto nella gestione delle percezioni allucinate di Elliot: se è carina l’idea che la “E Corp” diventi “Evil Corp” nella testa del protagonista e, di conseguenza, anche nei nostri occhi e nelle nostre orecchie (ogni volta che qualcuno ne parla noi sentiamo e vediamo effettivamente “Evil Corp”, anche se sappiamo che nella realtà non è così), quella stessa idea mi fa temere che si finisca a usare certi trucchetti ormai abusatissimi. Per capirci, il timore è che Christian Slater e gli altri hacker nemmeno esistano, e siano frutto dell’immaginazione di Elliot. Una possibilità che il pilot suggerisce in più di un’occasione, ma che ormai, nel 2015, non fa mica tanta sensazione.
Intendiamoci: per il momento Mr. Robot rimane agilmente sopra media. Troppo preziose e azzeccate certe scelte di regia (guardate la tensione sulla ruota panoramica, data solo dal fatto che le varie cabine sembrano doversi scontrare da un momento all’altro), troppo bravo il protagonista, troppo ambizioso il progetto per poterlo accantonare come una “serie qualunque”. Senza contare che è estate, e di solito le serie estive sono ben più loffie di questa (come dire, che piacevole sorpresa!)
Però le trappole sono dietro l’angolo, e sono numerose: bisogna subito trovare modi nuovi per trattare un tema fin troppo sfruttato – diciamolo, anche vagamente ipocrita, considerando che arriva da USA Network, cioè NBC Universal, cioè General Electric, cioè una multinazionale tra le più grandi al mondo – ed è necessario che la trama trovi un ritmo e una tensione più costanti e robusti. Un po’ di avvitamento sulle riflessioni filosofiche di Elliot è giusto e interessante. Ma se ci si impantata solo su quello poi arriva la noia, e se hai cose interessanti da dire ma mi annoi mentre lo fai, non ti ascolterò. Simple as that.
Perché seguirla: per l’atmosfera sapientemente complottara e per un protagonista efficace fin dalla prima inquadratura.
Perché mollarla: un tema un po’ vecchio e alcune scelte più raffazzonate fanno temere uno sviluppo più banalotto di quanto il pilot non suggerisca a un primo sguardo.