Aquarius – David Duchovny a caccia di Charlie Manson di Marco Villa
Prendi David Duchovny, mettilo negli anni ’60 e buttalo sulle tracce di Charles Manson. Ecco Aquarius.
Interpretare un personaggio in grado di entrare nell’immaginario collettivo è roba da pochi. Interpretarne due radicalmente diversi e raggiungere con entrambi lo stesso risultato è pressoché impossibile. Quel “pressoché”, infatti, è legato a pochissimi nomi e cognomi e tra questi troviamo senza dubbio David Duchovny. Negli anni ‘90 era Fox Mulder, uno dei grandi esempi di palinculo televisivo e ciononostante in grado di diventare il simbolo di quell’epoca seriale. Li chiamavamo ancora telefilm, ma questo conta poco: quello che conta è che lui e la sua socia Dana Scully erano qualcosa di fondamentale nel panorama televisivo. Perché sì, Twin Peaks sarà diventato il culto e l’amore totale di molti, ma X-Files è stata una bomba vera per i tempi. Archiviata l’esperienza dopo nove anni e quasi duecento episodi (sì, lo sappiamo X-Files tornerà nel 2016), David Duchovny è diventato Hank Moody. Dal palinculo al libertino per eccellenza, dai casi alieni di X-Files alle tipe biotte di Californication. E di nuovo un personaggio che resterà, senza dubbio alcuno.
Dato questo curriculum, non è sbagliato attendersi moltissimo da Aquarius, nuova serie che vede il nostro David protagonista, nei panni di un personaggio che sembra mischiare i due precedenti. In Aquarius (in onda su NBC dal 28 maggio, ma con episodi già disponibili online in blocco, per una strategia che sa tanto di “noi ci proviamo: male che vada abbiamo fatto una puttanata”), Duchovny è Sam Hodiak, detective della polizia di Los Angeles sul finire degli anni ‘60 (precisamente il 1967, la summer of love), ovvero il periodo che vede ascesa e disastri della famiglia di Charles Manson (Gethin Antony, il Renly Baratheon di Game of Thrones). E relativa indagine, condotta da Sam Hodiak insieme al collega scapigliato con tendenze hippy (Brian Shafe, interpretato da Grey Damon) e a una poliziotta tutto pepe (Charmaine Tully, interpretata da Claire Holt).
Creata da John McNamara (uno che ha nel cv come successo più duraturo Lois & Clark, la serie su Superman che andava su Raitre quando eravamo al liceo), Aquarius è una serie totalmente orizzontale, in cui la storia tragica di Manson e le indagini su di lui proseguono di pari passo. Proprio questa alternanza sembra essere una delle caratteristiche di base della serie: nonostante una maggiore attenzione al versante della polizia, nei primi due episodi la vicenda viene raccontata anche dal punto di vista di Manson e delle sue plagiatissime girlz.
Se questo schema vi fa pensare a qualcosa di frenetico e movimentato, siete completamente fuori strada: Aquarius è una serie lenta, che lascia intuire di volere crescere in modo equilibrato e senza eccessi, basandosi più sulla maturazione dei personaggi che su svolte narrative epocali. Del resto, sappiamo già chi è il colpevole: tutto l’interesse sta nel capire come i poliziotti arriveranno a lui. Ecco, i poliziotti: il mezzo hippy e la superbella sembrano piuttosto schematici, mentre il buon Duchovny si trova alle prese con un personaggio molto scritto, ma per ora con poco fascino.
Il successo della serie starà tutto nella capacità di creare un buon fascino morboso intorno a Manson, senza però lasciare indietro i poliziotti: in questi casi il rischio è sempre quello di focalizzarsi troppo sulla figura più interessante, dimenticando quelli che dovrebbero essere i buoni.
Dai primi due episodi, Aquarius non sembra una serie da capelli in piedi, di quelle che ti fanno correre in ufficio a dire “minchia, ho iniziato questa serie capolavoro”. Potrebbe diventarlo, certo, ma personalmente scommetto su un livello medio-buono e nulla più (ovviamente dopo questa frase farà il record di Emmy).
Ultima nota: al di là di un tentativo di fotografia molto ‘60 che non è particolarmente riuscito, la regia sembra votata a un lo-fi che su una rete come NBC va sempre apprezzato.
Perché seguirla: perché è una serie su Charles Manson e perché Duchovny ne sa a pacchi.
Perché mollarla: perché non è uno di quei thriller da cui non riesci più a staccarti dopo mezza puntata