Bates Motel season finale: un po’ di cose pregevoli di Diego Castelli
È un po’ che non ne parliamo, urge un richiamino
OCCHIO, SPOILER SU TUTTA LA TERZA STAGIONE!
Non parliamo di Bates Motel dal 2013, anno della prima stagione, quando il Villa rimase perplesso di fronte al pilot e poi toccò a me dire “sì, il pilot zoppicava, ma poi la serie è migliorata”.
Tre articoli in un anno e poi nulla fino ad ora, bypassando serenamente la seconda stagione.
Povera Bates Motel, non è neanche colpa sua: è che qui siamo pochi, cerchiamo di coprire un po’ tutti i pilot, ma se una serie vuole avere articoli anche per le stagioni successive be’, deve impegnarsi parecchio, entrarci proprio nel cuore, o creare chissà quale polemica ecc ecc.
Con Bates Motel non è successo: è rimasta una serie con molti pregi e qualche difetto e ha continuato a proseguire sui binari tracciati all’inizio, per cui non ci è più venuta voglia di spendere tot minuti della nostra vita per parlarne e dire più o meno le stesse cose.
Adesso però, dopo il terzo season finale, qualcosina voglio dirla, perché ci sono alcuni elementi di questa stagione che mi sono parsi non solo decisivi nello sviluppo generale dello show, ma più semplicemente li ho trovati proprio fighi.
(Il concetto di “figata”, lo dico per i meno esperti, è assolutamente utilizzabile in semiotica e analisi del testo, tanto che uno dei padri della semiologia, Roland Barthes, era solito dire “minchia figata” quando attorno a lui succedevano cose obiettivamente fighe).
Bates Motel continua a procedere su due livelli abbastanza distinti, anche se perennemente destinati a incontrarsi: da una parte la discesa agli inferi di Norman, con la sua sempre più evidente dissociazione dalla realtà con relativi crimini, e dall’altra le vicende più direttamente legate a Norma, ai figli che ha in giro, ai fratelli che si scopava, alle sue beghe con i gangster e via dicendo.
Questa seconda parte la lascerò lì dove sta, onestamente mi interessa poco. Non che sia fatta male, ma la considero una sorta di riempitivo, di necessaria aggiunta a una storia che altrimenti rischiava di essere troppo ripiegata su due soli personaggi. Detto questo, e detto che si è aggiunto anche Ryan Hurst (cioè Opie di Sons of Anarchy), sorvolerò sulla faccenda considerandola niente più che normale mistery-thriller.
Le cose migliori quest’anno le abbiamo viste proprio nel racconto della pazzia di Norman, e specificamente negli ultimi episodi stagionali. La storia di Norman Bates bene o male la conoscono tutti, tutti sanno che è un serial killer che tiene in casa il cadavere mummificato della madre, quindi per gli autori non si è mai posto il reale problema del “cosa succederà”. Per loro l’unica preoccupazione era il “come”. Il che implica ragionamenti di scrittura, ma anche di messa in scena.
Da questo punto di vista mi sembra che siano state fatte ottime cose. Lo scollamento della mente di Norman dalla realtà, che si sostanzia nella creazione di una madre che vive solo nel suo cervello e che lui non riesce più a distinguere pienamente da quella reale, ha raggiunto quest’anno un apice poderoso, che ci ha coinvolti in prima persona.
In questi dieci episodi Norman ha cominciato ad avere problemi con la madre vera, litigi e frustrazioni dovute soprattutto al fatto che lei s’è accorta che il ragazzo non ci sta con la testa e prova a porre rimedio alla questione. Questi problemi non hanno fatto altro che dare forza alla Norma finta, quella che vive solo nella mente del giovane, e che con lui è sì molto protettiva, ma anche più complice e accondiscendente.
Invece che ricevere e accogliere l’aiuto della madre biologica, Norman inconsciamente la rifiuta in nome della madre mentale, che da un punto di vista emotivo continua a dargli ciò di cui ha bisogno.
Concretamente, questa situazione si trasforma in un continuo apparire sullo schermo della Norma finta, in modi intelligentemente sfumati e mai pacchiani. È relativamente facile distinguere le due, visto che una litiga sempre col figlio ed è anche più grigia e dimessa dal punto di vista cromatico, mentre l’altra è fascinosa e colorata. Ma gli autori hanno l’accortezza di non rendere mai la cosa troppo evidente. La Norma finta non è solo un insieme di flash e di voci fuori campo, è una creatura vera, che Norman riesce a toccare e guardare. In questo modo anche lo spettatore riesce a vivere le stesse turbe del protagonista, mantenendo sicuramente una visione completa della vicenda (ci viene quasi sempre rivelato, a fine scena, che la finta madre non esiste), ma riuscendo comunque a vedere quello che vede il personaggio.
A questo elemento di inquietudine concorre il potenziamento di una dinamica che è presente fin dall’inizio della serie, ma che in questa stagione trova una sorta di definitiva esplicitazione: per farla breve, Norman sua madre se la farebbe subito.
Il rapporto ambiguo e sottilmente erotico tra i due esiste fin dai primi episodi, ma quest’anno ha raggiunto vette davvero disturbanti, con Norman che si fa i film mentali e si mette a guardare il culo della madre mentre dorme. È una continua crescita di una tensione che come spettatori viviamo malissimo e insieme benissimo, nel senso che riusciamo a essere affascinati dalla componente morbosa e “sbagliata” pur essendone contemporaneamente respinti e infastiditi perché, banalmente, nessuno di noi vuole farsi la propria madre.
Oddio, prendiamoci un momento su questa cosa: se stai leggendo questo post, hai più di tre anni e provi un forte desiderio di copulare con la mamma, noi consigliamo un consulto psicologico. Poi per carità, è un paese libero, però insomma…
Ovviamente gli autori non ci mostrano mai un vero atto sessuale tra madre e figlio, nemmeno un bacio, perché il fascino sta proprio nella tensione mista al fastidio: se facessero cosacce (intendo anche con la madre finta) sarebbe una linea troppo forte da superare, e creerebbe un’esplosione che probabilmente ci lascerebbe con meno interesse futuro. Quindi non so dire se mai succederà, ma è verosimile pensare che, in quel caso, sarebbe più verso fine serie.
La stessa volontà di non mostrare “troppo” compare anche nell’ultimo episodio. Improvvisamente capiamo che il ritorno della bella Bradley, che credevamo già morta, ha un unico scopo: quello di farla ammazzare da Norman. È una specie di rito di passaggio, la prima ragazza ad aver mostrato davvero interesse per lui: il fatto che Norman, spinto dalla madre finta, arrivi a ucciderla, mostra quanto sia stretto il legame tra le sue due personalità e quanto ormai la sua mente sia, per dirla all’inglese, fucked up.
Ma gli autori hanno voluto fare una piccola frenata, darci l’illusione della speranza: Bradley viene sì uccisa in modo abbastanza brutale, ma l’assassino che vediamo sullo schermo non è Norman, bensì sua madre. Effettivamente non “vediamo” il ragazzo compiere l’omicidio. Un modo per dirci che è stata la sua parte più cattiva e deviata a compiere l’efferato gesto, mentre il “vero” Norman, quello che tendenzialmente non uccide le amiche, è ancora lì da qualche parte.
Pia illusione, temo, ma gli autori hanno trovato il modo di rendere quell’illusione sottilmente reale.