Ma che fine ha fatto About a Boy? di Chiara Longo
Non sarà la miglior serie della storia, ma qualcuno avrebbe potuto avvertirci della cancellazione di About a Boy
About a Boy è una di quelle sit-com che ho iniziato a vedere per noia, mentre cercavo qualcosa di leggero e di non oltre 20 minuti per occupare un avanzo di pausa pranzo o brevi insonnie notturne. Mi ci sono approcciata due anni fa conoscendo bene il libro (di Hornby) e il film (con Hugh Grant) e non aspettandomi di certo un capolavoro.
Dell’originale conserva i nomi (Will, Fiona e Marcus), modifica leggermente la fonte di guadagno di Will (nella sit-com è Will l’autore della canzone di Natale e non suo padre, musicista classico, e proprio in nome di questa frivolezza il loro rapporto è più volte traballante), sposta l’ambientazione in un tranquillo quartiere residenziale americano. La storia quindi la conosciamo tutti: la vita quotidiana di uno scapolo d’oro che vive di rendita viene sconvolta dall’arrivo nel vicinato di Fiona, una mamma single, fricchettona, vegana e iperprotettiva, e di suo figlio Marcus, un bambino un po’ speciale che ha adottato in toto lo stile di vita della mamma, tutta buoni sentimenti e strani modi di intendere i rapporti umani, ma che conquisterà l’amicizia di Will facendo traballare le convinzioni più personali ed ostinate di tutti i protagonisti.
Tutti i personaggi sono delle macchiette in scarsissima evoluzione, quando si concedono ad atteggiamenti fuori dal loro seminato lo fanno con fatica e provocando grossi, grossissimi guai. Il plot orizzontale è praticamente assente in favore di una verticalità incentrata su situazioni buffe e paradossali (il vegano Marcus che scopre le costolette di maiale di nascosto dalla mamma; Fiona che deve tornare a fare sesso dopo 12 anni di astinenza; Will che insegna a Marcus tutto ciò che Fiona gli ha sempre vietato di fare e così via).
Perché mi piace About a Boy? Proprio per la leggerezza e la dolcezza che tra un True Detective, un The Knick e un Game of Thrones mi permettono di riprendermi per un attimo dalla vista di sangue e budella. È ciò che farei vedere al mio cuginetto di 6 anni per introdurlo a questo mondo fantastico che è la serialità televisiva.
In questi due anni non mi sono neanche troppo preoccupata di About a Boy: semplicemente, quando mi collegavo alla homepage del mio sito di sottotitoli preferito, se la trovavo lì tra gli altri partiva la visione. Quindi onestamente non mi ero accorta che da circa 2 settimane About a Boy fosse sparita dal palinsesto di NBC, fino a quando ieri sera snervata dall’ennesima puntata di Grey’s Anatomy (dovrei assumere uno psicanalista per capire i motivi che mi spingono a guardarlo ancora), me ne sono ricordata e cercandolo ho scoperto questo tweet:
Un fan le ha quindi chiesto se si trattasse di un’interruzione momentanea o di una cancellazione. Questa è la sua risposta, neanche velatamente polemica:
Quindi non si sa bene cosa succederà. Ciò che si sapeva già da gennaio è che non ci sarebbe stata una terza stagione, ma dovrebbero mancare poche puntate alla fine della seconda stagione. Googlando qui e lì, tutti i siti riportano come fonte solo il Tweet della Driver. Sono partite raccolte firme e hashtag #saveaboutaboy, sono apparse foto di alcune riprese ancora inedite, ma della data di un’eventuale messa in onda non se ne parla.
E i commenti dei fan sono esattamente gli stessi che farei io: perché cancellare a metà stagione una serie che ok, non fa degli ascolti da drago, però è morbida, leggera, divertente, destinata a un target di famiglie con figli giovani/piccoli, una simpatica pausa che fa genuinamente sorridere con gag misurate, linguaggio pulito, attori bravi (il piccolo Benjamin Stockham è assolutamente irresistibile)?
L’unico argomento a sfavore che trovo è che non è mai stato chiaro dove volesse andare a parare un eventuale finale di About a Boy. Una storia d’amore tra Will e Fiona in questa versione sembrava ancora lontanissima, intanto Marcus stava crescendo e diventando un adolescente con tutto ciò che comporta, i personaggi secondari sono deboli e la verticalità dopo un po’ rompe le palle (vedi 2 Broke Girls). In ogni caso, avrebbero potuto almeno chiudere questa seconda stagione e non lasciarmi depressa per il bipolarismo di Ian, gli psicodrammi del Seattle Grace, l’arrampicata politica di Alicia Florrick.