The Last Man on Earth: come le serie postapocalittiche, però da ridere di Diego Castelli
Tu cosa faresti se fossi rimasto da solo?
Il recente passato cine-televisivo è pieno di sopravvissuti. Non nel senso metaforico, ma proprio di poveracci che tirano a campare. Mondi futuri distrutti da qualche epidemia, o dalla guerra, o dal brutto finale di una serie molto seguita, e popolati da un numero assai ridotto di uomini e donne costretti a lottare con le unghie e con i denti per trovare cibo, carburante, e magari un motivo per rimanere aggrappati alla loro umanità.
La versione più nota è quella in cui la maggior parte delle persone si è tramutata in zombie o mostri simili: ecco allora i The Walking Dead, gli Z Nation, o gli Io sono leggenda. Ma a volte basta che si spengano le lampadine, tipo Revolution, o che qualche scienziato lasci cadere una provetta con dentro l’Apocalisse (vedi gli Helix, i 12 Monkeys, i The Last Ship). Qualcuna è più drammatica, qualcuna più action o sci-fi, tutte cercano un po’ di suspense.
E poi arriva The Last Man on Earth.
In onda su FOX, basata su un’idea di Phil Lord e Christopher Miller poi rielaborata da Will Forte, The Last Man on Earth ha più o meno lo stesso concept degli esempi precedenti: un virus ha spazzato via quasi tutta la razza umana, lasciandosi dietro strade deserte e case disabitate. All’inizio della serie, il sopravvissuto sembra essere uno solo: Phil Miller (interpretato dallo steso Forte).
Qual è la differenza sostanziale rispetto al passato? Be’, presto detto: The Last Man on Earth è una comedy, Phil è abbastanza idiota, e i pochi personaggi che arriveranno sono più idioti di lui. All’inizio del doppio pilot trasmesso domenica scorsa Phil sembra effettivamente l’ultimo uomo rimasto sulla Terra, o per lo meno negli Stati Uniti. Ed essendo una comedy, il suo primo pensiero non è interrogarsi sul senso della vita o tenere un diario fitto di riflessioni fisolofiche: ma va, Phil è rimasto solo, e quindi se la spassa! Ruba quello che vuole dai supermercati (il termine “rubare” ha ancora un senso?), gioca a bowling con gli acquari, si appropria di mega ville con piscina che riempie di robaccia trovata ovunque, beve come una spugna e si masturba selvaggiamente.
Ovviamente bastano pochi minuti per andare ben oltre qualunque verosimiglianza, e non è nemmeno il caso di farsi troppe domande sulla benzina, sulle scorte, o su dove siano i cadaveri. Chissenefrega, sono minuti di totale libertà e totale divertimento, nostro e di Phil.
Certo, qualcosa manca. Convinto che mai sarebbe finito come Tom Hanks in Cast Away, ridotto a parlare con un pallone, Phil finisce con averne una ventina, di palloni, ognuno col suo nome e la sua faccina disegnata. Per quanto libero, Phil ha bisogno di contatto umano ma prima di tutto ha bisogno di figa. No, non voglio essere volgare senza motivo: c’è una differenza biologicamente precisa tra il bisogno di amore, di affetto, di amicizia, e di figa. E Phil ha evidentemente bisogno di figa.
E la “figa” arriva. Pensato inizialmente come un film, The Last Man on Earth ha evidentemente nella capacità di allungarsi la sua sfida principale: pochi personaggi e dichiarata desolazione non creano il miglior terreno per una comedy di lungo corso. Ecco allora che già nel primo episodio arriva Carol, interpretata dalla sempre fastidiosissima (per scelta) Kristen Schaal, anche lei una reduce di 30 Rock e del SNL come lo stesso protagonista.
Il motivo delle virgolette sulla figa a inizio paragrafo è presto detto: di tutte le donne che potevano sopravvivere per dare piacere a Phil (Phil che a un certo punto ci prova con un manichino, per dire), l’unica che incontra è ovviamente un po’ cessa ma, soprattutto, è una palla al cazzo allucinante. Una che dopo la scomparsa dell’umanità vuole che Phil si fermi agli stop. Una che questiona se parcheggia nel posto degli disabili anche se è conclamato che TUTTI i disabili sono morti. Una che dopo che lo ha conosciuto da cinque minuti è già lì che gli corregge la grammatica.
Senza spoilerare oltre, avete capito l’antifona. The Last Man on Earth è una parodia di tanti show post-apocalittici visti in questi anni, e forse anche qualcosina di più: forse è il tentativo di portare la scrittura comica in territori ancora poco battuti, per lavorare su temi assolutamente classici come quello dei rapporti di coppia, calati però in un contesto in cui quei temi non possono più appoggiarsi alla società che solitamente li influenza e gli dà forma e scopo. Come dire, proviamo a fare una sitcom su una coppia sposata quando non esistono più altre coppie sposate, o vicini di casa, e vediamo che diavolo succede.
Una cosa del genere funziona? E soprattutto, può continuare a funzionare? Be’, per ora tiene. Quello di The Last Man on Earth non è un pilot esilarante nel senso delle grasse risate. Non ci prova nemmeno, non ha il ritmo sincopato da commedia che non ti fa respirare. Però è originale, è pieno di buone idee (anche visive, che non è così scontato), ha due ottimi protagonisti e soprattutto è capace di cogliere alcune sfumature “basse” dell’animo dello spettatore, facendolo immedesimare immediatamente: tanto nel senso di libertà iniziale, quanto nel desiderio di compagnia che arriva subito dopo, e pure nella repulsione immediata verso la donna dei sogni che troppo dei sogni non è.
Il futuro è un’incognita. Non sarà semplice tenere desta l’attenzione passato il primo momento di novità. Allo stesso tempo, però, The Last Man on Earth ha le stesse possibilità narrative di un The Walking Dead: appena la tensione cala o i personaggi esauriscono le cose da dire, basta far arrivare qualcun altro che abbia vissuto in modo diverso le stesse difficoltà, che possa così dare nuova linfa e nuovi spunti di discorso. Nel terzo episodio dovrebbe già arrivare una certa January Jones, che non è proprio la prima attrice scappata di casa né una che il povero Phil possa rifiutare per scarsa avvenenza. Anzi, ci sono da immaginare allupamenti vari e parecchie gelosie. Perché in fondo tutto il mondo è un liceo, che sia brulicante di sette miliardi di persone o calpestato da un totale di neanche dieci piedi.
Perché seguirla: di per sé è una parodia divertente e ben messa in scena, ma soprattutto ha le potenzialità per andare oltre, sforando nel piccolo cult.
Perché mollarla: se quelle potenzialità rimarranno inespresse, se insomma si dovesse scoprire che le cose più curiose o pazze della serie le abbiamo viste nel pilot, il rischio è che la letterale assenza di umanità diventi un peso troppo forte.