Massì, dai, parliamo anche del secondo episodio di Better Call Saul di Diego Castelli
C’è ancora qualcosa da dire
OVVIAMENTE SPOILER!
Normalmente, quando i primi due episodi di una serie vanno in onda così vicini uno all’altro, aspettiamo di vederli entrambi prima di commentare. Stavolta però l’eccezione era d’obbligo, visto che Better Call Saul era tipo la serie più attesa dal Cretaceo.
E se il secondo episodio conferma le qualità viste nel pilot – danzate pure di gioia, se vi fa piacere – allo stesso tempo c’è ancora qualcosa da dire che ieri non abbiamo sottolineato a sufficienza: un po’ per non spoilerare troppo, e un po’ per evitare di scrivere quei post lunghissimissimi che poi non legge nessuno anche se tu c’hai sputato sangue.
Il secondo episodio di Better Call Saul è di nuovo pieno di scene divertenti e ben costruite: la nonna di Tuco, la trattativa nel deserto chiusa dal compromesso “spezziamo una gamba a ognuno”, la scena con Saul lavoratore accanito, classico esempio di ritmo musicato già visto tante volte in Breaking Bad. Ma c’è anche il fratello Chuck col suo cappottino da astronauta, e c’è Mike che torna e si fa vedere un po’ più di ieri, a conferma che non era lì di passaggio (se volete fare un’altra pausa per la danza della gioia, fate pure).
Insomma, tanta bella roba, roba che titilla gli occhi e la mente, roba raffinata che i fan di Breaking Bad hanno già imparato ad apprezzare e che ritrovano più o meno con la stessa verve e con lo stesso gusto, sorprendentemente fresca.
Ma dopo due episodi è anche possibile fare qualche riflessione di più ampio respiro. La prima che viene in mente, abbastanza banale, è che in questa serie che si chiama “Meglio Chiamare Saul”, ancora non è comparso alcun personaggio che si chiama Saul. L’avvocato maneggione e dalla lingua lunga che conoscevamo come Saul Goodman al momento è James McGill, ed è un avvocato quasi normale. Ok, è già uno che non si fa troppi scrupoli, che prende al volo le possibilità di arraffare qualche moneta facile, che invece di denunciare chi cercava di fregarlo cerca di far società per fregare un altro ancora. Soprattutto, abbiamo capito che ha un passato ancora meno pulito del presente. Allo stesso tempo, però, è uno che spera di trovare clienti veri, e che intanto si barcamena facendo l’avvocato d’ufficio per delinquenti patentati e scarti umani, mentre il fratello ha perso lo smalto di un tempo e ora vive segregato in casa per paura delle onde corte.
Insomma, di certo Saul non ci è mai stato antipatico, ma in questa versione proviamo proprio affetto, riusciamo a identificarci con lui in maniera ben più immediata rispetto alla vecchia serie, dove il nostro non era il protagonista e non aveva il compito di creare troppa empatia.
L’ironia, ovviamente, sta nel fatto che James perderà presto questa vaga (molto vaga) onestà, per diventare il Saul Goodman che conosciamo, che quindi acquisterà un nome da “buonuomo” ma lo sarà sempre meno nei fatti.
In questa parabola troviamo anche la maggiore somiglianza narrativa tra Better Call Saul e la precedente creatura di Vince Gilligan. Se i due protagonisti sono infatti diversissimi (determinato, incazzato, rabbioso Walter White; pauroso, sudaticcio e sfuggente Saul), entrambi sembrano segnati da un destino comune: quello della sopravvivenza. Per quanto i caratteri differiscano, e per quanto siano diverse le risposte che i due personaggi danno alle avversità, l’elemento comune è proprio quello, la sfiga, un fato costantemente incazzato, sempre pronto a mettergli i bastoni tra le ruote. Che sia un tumore ai polmoni senza aver mai fumato, o un’automobile troppo simile a un’altra che porta all’incontro con spacciatori pericolosissimi, Walter e Saul si ritrovano a combattere da soli contro problemi apparentemente insormontabili, e devono uscirne come possono.
La bravura di Gilligan sta (e dovrà stare) nel riuscire a mettere in scena lo stesso tema – che evidentemente gli è proprio caro – dandogli però sfumature completamente nuove a fronte di un (anti)eroe assai differente.
Che poi è il motivo per cui abbiamo percepito subito una continuità con il passato e una immediata voglia di rimanere appiccicati alla nuova serie: non solo per la regia simile o per alcuni attori che ritornano, ma per la chiara sensazione che abbiamo di nuovo di fronte un poveraccio a cui andrà tutto male, ma che in qualche modo riuscirà a cavarsela con le unghie e con i denti.
Cambia lo stile di combattimento, ma la lotta per la vita è sempre quella. E siccome siamo bestie modellate dall’evoluzione, in quella lotta per la vita troviamo anche un po’ di noi stessi, poco importa se il nome che ci siamo dati questa volta è Walt, Jesse, James o Saul.