23 Dicembre 2014 10 commenti

Homeland – La miglior resurrezione dai tempi di Cristo di Marco Villa

Homeland sembrava agonizzante, ma si è ripresa alla grandissima

Copertina, On Air

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[SPOILER ALERT: CONTIENE SPOILER SU TUTTE LE STAGIONI DI HOMELAND]

Alzi la mano chi pensava che Homeland potesse tornare a essere così bella, raggiungendo livelli toccati finora solo dal finale della prima stagione. Io ero convinto che potesse riprendersi da tutte le cose sbagliate della terza stagione, ma era davvero difficile immaginare che potesse raggiungere picchi di questo tipo.

La quarta stagione di Homeland è finita con un episodio di anticipo, con quell’inquadratura che mostrava Dar Adal nella macchina di Haqqani. Lì si è chiusa la trama principale, segnando la quarta sconfitta in quattro stagioni per Carrie Mathison. Prima Brody che si ferma per sua volontà e non perché bloccato dalla CIA, poi la strage nella sede dell’Agenzia, quindi la morte dello stesso Brody e ora la fuga forzata di fronte a un nemico che ha ammazzato 40 persone nell’ambasciata pachistana. Forse per dare un messaggio contenente almeno un po’ di speranza, gli autori hanno deciso di attaccare in coda alla quarta stagione un episodio slegato dalle vicende pachistane, fin qui centrali.

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Da sempre Homeland non si limita a raccontare storie di spie, ma vuole scavare anche nel privato dei personaggi: a volte ce la fa, molto spesso si perde via in storyline odiose come quella della figlia di Brody. La faccenda della mamma di Carrie è a metà strada: da una parte non ce ne frega nulla, dall’altra finalmente capiamo un po’ di più della rabbia di cui è fatta al 70% la nostra amica bionda. Questa parentesi, insieme al fatidico passo avanti con Quinn, ha portato a un finale anomalo, in cui le questioni lavorative vengono quasi totalmente accantonate: la sequenza finale, con una Carrie pronta a far ripartire il suo bel mento ballerino, lascia aperta ogni possibilità sulla quinta stagione, che a naso potrebbe essere incentrata sul recupero di Quinn dalla sua missione.

Non vorrei però focalizzarmi troppo su quest’ultimo episodio, perché Homeland merita un trattamento dedicato a tutte le puntate di quest’anno. La quarta stagione è qui a dimostrare che qualsiasi serie, anche quella che pensate sia ormai condannata può in realtà risollevarsi.

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Dopo cinque episodi di assestamento, ma comunque nettamente superiori a quello che abbiamo visto nella terza stagione, a partire dalla sesta puntata Homeland si è rimessa a correre come ai tempi migliori: l’uccisione di Aayan, il rapimento e fuga di Saul, il tradimento di Carrie nei suoi confronti, lo scambio degli ostaggi, fino all’attacco all’ambasciata, il punto più basso della vita lavorativa di Carrie Mathison, il suo fallimento più grande, che coincide con la puntata più spettacolare della serie. Nel season finale, la sorella lo dice: non l’ho mai vista così distrutta dopo un incarico. Carrie ha raggiunto il grado zero, ne è consapevole: da una parte i suoi colleghi morti, dall’altra Dar Adal e Saul che rinunciano alla politica del muro contro muro. In mezzo lei, che riesce a trovare nella figlia un’insperata ancora di salvezza, ma che ha tragicamente bisogno di Quinn. Lei lo sa e pure lui lo sa, ma entrambi hanno un livello di autodistruzione che è avvicinato solo dalle campagne di calciomercato dell’Inter e quindi una tentenna e l’altro si butta sul sicuro, trovando il proprio salvagente nel gruppo di agenti delle black operations.

Tutti questi segnali indicano che è il caso di prepararsi a una stagione emotivamente fortissima, con la speranza che il ritorno all’ammmore non provochi una regressione simile a quella vista nell’ultima parte della storiona Carrie-Brody. Preoccupazione legittima, ma se pensate a come eravamo incazzati dodici mesi fa, sembra davvero una passeggiata.

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