15 Ottobre 2014 1 commenti

Arrow: serve un po’ di novità, o più morti di Francesco Martino

Torna il giustiziere con le frecce, con la speranza di qualche guizzo in più

Copertina, On Air

Arrow (1)

Nonostante un discreto numero di detrattori ho sempre considerato Arrow una buona serie. Insomma, quando si fa un telefilm su un uomo in calzamaglia che spara delle frecce non si va tanto a cercare il nirvana della serialità, quanto una solida forma di intrattenimento.
Nel corso della sue stagioni la serie CW aveva saputo alternare ottimi momenti con pesanti passi falsi, figli di un sistema narrativo eccessivamente ripetitivo. Mettere in piedi per due anni di fila la stessa formula, senza cercare di inserirvi nemmeno una microscopica variazione, può portare inevitabilmente alla frustrazione dello spettatore e, giunti ormai all’alba della terza stagione, la vera prova era proprio questa: cambiare.

È stato fatto? No, o quantomeno non nel modo sperato. Durante gran parte di The Calm, la season première della terza stagione, non ho potuto fare a meno di pensare a come, minuto dopo minuto, la serie stava ripercorrendo una strada già battuta in precedenza.
Nell’episodio gran parte dell’attenzione è focalizzata sulla difficoltà nel conciliare la vita in calzamaglia con quella in abiti civili, e su come sia spesso impossibile avere una vita privata per un vigilante. Anche qui però la serie si dimostra poco coraggiosa, regalandoci solo pochi momenti davvero importanti, ma tutti sempre troppo timidi, e mai abbastanza incisivi per convincere lo spettatore stanco.
Un altro aspetto che ho sempre mal tollerato in Arrow è l’uso eccessivo dei flashback, spesso utili nel raccontare la trama (come il passato con Slade), ma qualche volta troppo simili a dei semplici tappabuchi o a degli escamotages per aumentare il minutaggio dell’episodio. Anche in questo caso, nonostante il cambio di location, la sensazione è sempre quella di vedere un racconto facilmente gestibile in un singolo episodio allungato eccessivamente.
Arrow (2)

Parlando di nuovi ingressi nel cast invece una distinzione è obbligatoria: mentre il personaggio di Ray Palmer sembra una simpatica distrazione dal contesto eccessivamente serioso, lo stesso non si può dire di Arsenal -non la squadra inglese-, nuova incarnazione di Roy e semplice clone in rosso del protagonista.
Il personaggio interpretato dall’ex Superman Brandon Routh rappresenta anche un importante passo in avanti per la serie, l’apertura a quel tipo di eroe già intravisto con Flash (che qui ha un breve cameo) che esula dal semplice contesto di uomo muscoloso, ma che incarna invece lo spirito fumettistico, quello del personaggio che stupisce con i suoi poteri. Questo discorso, se portato avanti nel modo giusto, potrebbe rappresentare un’interessante variazione al solito teatrino di due tizi che si prendono a cazzotti.

Il vero punto focale dell’episodio è per il finale, il colpo di coda che è riuscito a ridestare l’interesse moribondo. Dando per scontato che quanto visto sia definitivo, mi sento di dire che finalmente la serie ha saputo prendere coraggio, eliminando un personaggio che non aveva più niente da dare all’economia di Arrow (anche perché ormai il romanticismo gira tutto su Felicity) e inserendo, teoricamente, una figura come quella di Ra’s al Ghul, importante e minacciosa per l’intero universo televisivo DC.
Arrow (3)

Voglio essere onesto e ammettere che, se non fosse stato per il colpo di scena sul finire di puntata, il mio giudizio sarebbe stato decisamente negativo. La serie ha bisogno di novità, e il riutilizzo di vecchi schemi non aiuta in un’opera di rinnovamento che può arrivare solo da scelte coraggiose come quella vista nel finale. È presto per parlare di crisi, ma spero che nel corso della stagione, anche grazie all’aiuto dei cross-over con The Flash, la serie riuscirà a ritrovare la propria strada.

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