American Horror Story: Freak Show – Benvenuti su Marte di Marco Villa
Questa è American Horror Story: Freak Show, lo spettacolo sta per iniziare
Farebbe molto figo dire che il mio primo contatto con il mondo dei freak è coinciso con il film di Tod Browning, magari visto in qualche cineforum fumoso durante un’autogestione al liceo. Farebbe molto figo, ma per fortuna ho 32 anni e posso fare a meno di queste menate. La parola e il concetto di freak li ho scoperti sì in anni di liceo, ma grazie a Johnny Freak, il lacrimosissimo albo di Dylan Dog. E proprio quel fumetto è stata la prima cosa che mi è venuta in mente guardando la prima puntata di American Horror Story: Freak Show.
American Horror Story: Freak Show è la quarta stagione della saga di Ryan Murphy e Brad Falchuk ed è in onda dall’8 ottobre su FX. Ambientato in una cittadina della Florida nel 1952, il pilot racconta due storie. La prima storia è quella di una serie di omicidi brutalissimi, compiuti con delle gran sforbiciate nel petto, da parte di un clown con degli evidente problemi alla faccia (eufemismo). La seconda storia è quella – appunto – di un freak show, a capo del quale c’è Elsa Mars (Jessica Lange), donna di spettacolo di origine tedesca, che vive nell’illusione di essere una star e si strugge nell’amore-odio per il mito di Marlene Dietrich.
Intorno a lei, tutti i protagonisti dello show: l’uomo aragosta con mani enormi e dita attaccate tra loro (Evan Peters, uno che pare abbia scritto nel destino di dover diventare un divo), che sfrutta questa deformazione per la gioia delle donne della zona; la donna barbuta (Kathy Bates); due persone affette da microcefalia e altri personaggi simili. Collante tra le due storie sono Bette e Dot Tattler, due sorelle siamesi interpretate da Sarah Poulson: accusate di uno dei barbari omicidi avvenuti in città, vengono subito reclutate da Elsa Mars nella speranza che possano attirare clienti e soldi, in grado di salvare il suo circo in forte crisi economica.
Tra le due storie non c’è gara: per quanto il clown sia terrificante e la sua vicenda colpisca fin da subito, attenzione e sentimento vanno verso i freak. Come in quell’albo di Dylan Dog, vengono presentati essenzialmente come degli emarginati. Emarginati che sono costretti a sfruttare i propri problemi fisici per campare, emarginandosi ancora di più, in un circolo vizioso che non potrà mai avere fine. Elsa Mars, in questo senso, è sia salvatrice che aguzzina, una doppiezza confermata anche dal comportamento nei confronti della giovane infermiera, il cui ruolo è ancora tutto da capire e che al momento rappresenta il più grosso punto di domanda del pilot. È invece fuor di dubbio la bravura di Jessica Lange, che già nella prima ora riesce a portare a galla tutte le potenzialità di un personaggio enorme e che si prende tutta la serie con una scena, ovvero l’interpretazione stile kabarett di “Life on Mars” di Bowie (sì, l’anacronismo è voluto).
Rispetto alle tre stagioni precedenti, l’impressione è che l’attenzione non sia tanto concentrata su misteri e segreti, quanto sulla vita dei personaggi e sulla loro complessità. In questo senso, la serie non si distanzia più di tanto dal freak show che racconta, mettendo gli spettatori sulle sedie in legno del tendone, ma promettendo loro di andare oltre la semplice fisicità di quei fenomeni da baraccone. Del resto, nel cast c’è anche la donna più piccola del mondo: se non è un freak show questo…
Perché seguirla: perché la potenza di tutti i personaggi è innegabile. E perché Jessica Lange che canta Bowie ti tira dentro senza dubbi.
Perché mollarla: perché rispetto alle altre stagioni la componente horror potrebbe essere messa un po’ in un angolo