Transparent: la serie di cui tutti parlano (prima parte) di Diego Castelli
Un piccolo grande telefilm
Aspetta aspetta aspetta. Premessa prima della recensione.
–Transparent è una serie di Amazon, che si comporta come Netflix: 10 episodi caricati contemporaneamente on line.
-Io per ora ho visto SOLO il primo episodio, e questa recensione si riferisce SOLO a quello. Quindi occhio anche voi a non spoilerare troppo negli eventuali commenti (che poi io leggo per forza!)
-Perché recensire solo il pilot quanto ci sono tutti gli episodi? Per tre motivi: così possiamo scrivere della serie due volte (all’inizio e alla fine); perché l’idea dell’impressione iniziale che può essere confermata o smentita è sempre divertente e allena il cervello; perché vogliamo restare biecamente sul pezzo, anche se ancora non abbiamo avuto il tempo di vedere tutto.
Eh già perché di Transparent si sta parlando parecchio, e con toni entusiastici. Oltreoceano c’è chi è arrivato a sostenere che è la miglior serie del 2014. E se il pilot non basterà per decidere se è vero o no – visto che questo episodio venne reso disponibile da Amazon già a febbraio, senza creare lo stesso livello di entusiasmo poi suscitato dalla stagione intera – intanto ci facciamo un’idea di cosa stiamo affrontando.
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Creata da Jill Soloway, sceneggiatrice e produttrice per show come United States of Tara, Six Feet Under e Grey’s Anatomy, Transparent racconta di Mort, un uomo ormai anziano, divorziato, con tre figli adulti, che al crepuscolo della vita ha deciso di accettare (e mostrare al mondo) la sua vera natura transgender: Mort infatti ama trasformarsi in Maura, con tanto di vestiti femminili, gioielli, trucco e parrucco. Il pilot verte sostanzialmente sul tentativo (fallito) da parte di Mort/Maura di parlare ai figli della propria vita durante una cena a base di grigliata unta e bisunta.
Cercando di non chiedermi perché i giornalisti e i blogger intorno a me stanno parlando di capolavoro (leggere davvero le loro opinioni mi porterebbe a un brutto caso di avvelenamento da spoiler) posso però confermare che il pilot è veramente riuscito.
E’ proprio l’approccio di fondo a funzionare. Transparent non è (almeno non mi sembra) una serie “sui gay” o “sui travestiti”. Non nel senso che siamo abituati a pensare: non è una sitcom con le macchiette effemminate, o col buonismo a tutti i costi, e non è nemmeno il dramedy volutamente provocatorio alla Looking o Queer as Folk. Pur nel tentativo di affrontare approfonditamente tematiche che ancora oggi suscitano domande e polemiche, quello che stupisce del pilot di Transparent è la straordinaria normalità delle situazioni.
Mort ha tre figli, ognuno con la sua personalità e i suoi problemi: Sarah (Amy Landecker) ha una famiglia tradizionale, anche se cova dentro desideri e gusti differenti; Ali (Gaby Hoofmann ) è la figlia fancazzista, quella che non ha combinato niente dalla vita e che continua a chiedere soldi a papà; Josh (Jay Duplass) è l’artistoide simpatico che si cironda di stragnocche. L’abilità della Soloway, che è anche regista dell’episodio, sta nell’introdurci prima di tutto a un ambiente con cui possiamo entrare facilmente in contatto: una famiglia, né più né meno, con un padre divorziato che si ritrova a cena con figli adulti e un po’ problematici, ma niente di scandaloso. Ed è qui, dopo aver creato una base placida e riconoscibile in cui lo spettatore si sente a casa, che poi l’autrice inserisce la deviazione. “Deviazione” ovviamente in senso narrativo, di scarto, di twist, che introduce l’inaspettato con cui il nucleo familiare dovrà fare i conti.
Molto azzeccata, in questo senso, la preoccupazione pre-cena dei figli: convocati dal padre per una comunicazione importante, i figli pensano a tutto, tranne che alla verità: pensano a una nuova relazione del padre, o a una sua malattia grave. La cosa bella è che la prospettiva del cancro non li sconvolge più di tanto, evidentemente perché rientra nella categoria del “normale”: è normale che un uomo di 70 anni possa avere un tumore, e la cosa viene in qualche modo già metabolizzata, masticata, accettata.
Invece la verità, che pure i figli non scoprono durante la cena, strà altrove, ed è una realtà che invece la loro mente (e più in generale la società che l’ha plasmata) non avrà ancora compreso appieno: papà si sente una mamma.
Il tema dell’identità di genere, che rimane ovviamente centrale, non è dunque l’unico o necessariamente il più importante, affiancato a quello della famiglia, della percezione di sé e degli altri, di quello che ci serve per essere felici. Transparent promette di indagare questo ambito ancora nebbioso della vita, non credo per cercare risposte univoche, quanto soprattutto per porsi domande importanti con la naturalezza di chi sa che c’è ancora molto da chiedere, senza eccessivi strepiti.
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E qui è necessaria una postilla di messa in scena. Il lavoro fatto sugli attori di Transparent è davvero pregevole. I figli di Mort riescono perfettamente a rendere l’affettuoso caos di una famiglia ormai adulta, in cui le consuetudini dell’infanzia si sono mescolate alle singole vite individuali, creando alternativamente bambini cresciuti o adulti un po’ zoppi. E poi c’è Tambor, che a mio giudizio punta dritto ai prossimi Emmy (lui che ha già ricevuto due candidature per Arrested Development). Il suo Mort, a un primissimo sguardo, potrebbe sembrare troppo caricaturale: le movenze troppo femminee, il tentativo smaccato di trasformarsi in donna, come potremmo farlo io o voi in un momento di gioco e di scherzo. A guardarlo bene, però, ci si accorge che l’approccio è diverso e ben più profondo. I piccoli gesti, i vestiti, perfino i respiri stanchi dopo la cena infruttuosa, mostrano con eccezionale chiarezza che la maschera non è Maura, bensì Mort: insieme ai figli, il padre deve ancora fingere di essere quello che non è, mentre una volta rimasto solo può spogliarsi della menzogna per mostrare il vero se stesso (anzi, la vera se stessa). Questo senso di liberazione, questa sorta di respirone tirato dopo ore di apnea, è giocato tutto senza parole (che arrivano dopo) ma è comunque evidentissimo. E qui sta la bravura dell’attore e della regista.
Insomma, è figa Transparent, e se il solo pilot forse non mi farebbe parlare di capolavoro, l’entusiasmo che vedo intorno alla serie mi sembra perfettamente coerente con quello che promette. Ci risentiamo alla fine dei dieci episodi.
Perché guardarla: in primo luogo perché sembra molto promettente, e poi perché Amazon vuole fare l’anti-Netflix (come se Netflix fosse lì da cinquant’anni, peraltro), quindi insomma, un serialminder degno di questo nome almeno il pilota lo guarda.
Perché mollarla: rimane una serie di nicchia, molto autoriale, che credo lavorerà sulle sfumature più che sui grandi stravolgimenti. Se vi piace solo NCIS (sia detto con rispetto) forse non fa per voi.