Ormai è ufficiale: Halt & Catch Fire è una serie della Madonna di Diego Castelli
AMC ha fatto centro un’altra volta
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ATTENZIONE! SPOILER SU TUTTA LA PRIMA STAGIONE DI HALT & CATCH FIRE!!!
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Credo che la cosa migliore che ti possa capitare guardando una serie tv (ma vale anche per i film, i libri ecc) è partire con aspettative basse o quantomeno indifferenti, e poi scoprire che sei davanti a un capolavoro.
Perché sì, Halt & Catch Fire è un capolavoro.
Sia chiaro, non è che avevamo aspettative “nulle”. Stiamo comunque parlando di AMC, che tra i Breaking Bad, i Mad Men, i The Walking Dead e i The Killing, sono più le volte che ci azzecca di quelle in cui fallisce. Detto questo, però, la trama parlava di costruttori di computer negli anni Ottanta, e la curiosità faceva il paio con un po’ di sano scetticismo.
La recensione post-pilot del Villa metteva in chiaro che sicuramente c’era del potenziale, non fosse altro che per la capacità e la voglia di mostrare una versione nuova del nerd televisivo, passato negli anni da sfigato a cui ridere dietro a sfigato con cui ridere insieme, ma che ancora rimaneva appunto uno sfigato, un disagiato per cui provare al massimo tenerezza e simpatia. I nerd di Halt, invece, sono prima di tutto geni più o meno potenziali, le cui idee sono in grado di cambiare il mondo.
A questa semplice constatazione, che evidenziava il coraggio del concept, doveva però accompagnarsi una messa in scena che non rimanesse concentrata solo su byte e schede madri, pena la noia indicibile.
In questo senso, il pilot mostrava già una certa solidità, e la definizione abbastanza netta dei caratteri (il geniale ma cagasotto Gordon, il furbo e ambizioso Joe, la talentuosa e ribelle Cameron) rivelava il lavoro di sceneggiatori all’altezza del compito.
Certo, però, che non ci aspettavamo tutto il ben di Dio che è venuto dopo.
Sì, Halt & Catch Fire è una serie che parla di computer; sì, rievoca un periodo storico per molti versi affascinante; e sì, reinterpreta e rinnova la figura del nerd seriale. Ma detto questo, Halt & Catch Fire è anche e soprattutto una storia di passioni esacerbanti, di ambizione e di riscatto, di successo e fallimento, di tradimento e di follia.
Quello che rimane marchiato a fuoco nella pancia dello spettatore è lo straordinario contrasto tra una materia potenzialmente “fredda” come quella dei computer e dei circuiti, e il calore violentissimo sprigionato dai personaggi. Il risultato è un vortice emotivo che rapisce lo spettatore e lo inchioda alla poltrona come il miglior thriller, facendolo appassionare in maniera del tutto imprevista a dettagli tecnici di cui prima del pilot non era nemmeno a conoscenza.
Questo risultato è certamente frutto di alcune tecniche “facili”, come il semplice ma efficace meccanismo “va tutto bene – problemone clamoroso – lo risolviamo per il rotto della cuffia”, ripetuto più volte nel corso della stagione.
Ma a fare la differenza è proprio la parabola di ogni singolo personaggio, il percorso di crescita emotiva ed esperienziale che prende ognuno dei caratteri visti nel pilot o lo ribalta come un calzino, mettendo a nudo ogni debolezza e ogni paura e sviscerandole nella maniera più brutale.
In questo senso, poco importa che Joe lavori in una ditta di computer. Quello che conta è la sua natura di figlio ambizioso di padre assente, e la sua conseguente lotta per uscire ad ogni costo dalla mediocrità. Nello stesso modo, Gordon è chiamato a risvegliare il genio che ha dentro, un genio frustrato e azzoppato dalle brutte esperienze del passato. Cameron deve riuscire a far convivere il suo talento e la sua voglia di spaccare il mondo con le necessità reali di un’azienda che naviga in cattive acque.
Se a questi elementi aggiungete anche l’importantissimo capitolo della famiglia di Gordon e le altre beghe d’ufficio, ne esce un quadro variamente sfaccettato in cui chiunque può identificarsi, riconoscendo problemi e dinamiche molto più universali di quanto l’ambito “computer” non faccia supporre all’inizio.
Nel corso di questa prima stagione gli sceneggiatori hanno gestito magistralmente lo sviluppo dei vari personaggi, accompagnandoli in un percorso accidentato e doloroso che in quasi tutti i casi porta a una profonda (ri)scoperta di sé: a volte più scontata (Donna vuole uscire dallo stereotipo della moglie che accudisce i figli), altre volte più sorprendente, come Gordon che si rende conto di essere più simile a Joe di quanto immaginasse, con quell’amaro in bocca alla fine di un periodo di lavoro che ha portato successo commerciale ma pochissima innovazione.
A conti fatti, con il supporto di una regia impeccabile e di un cast straordinario (due elementi che meriterebbero una recensione a sè), Halt & Catch Fire ha spaccato perché si è presentata come una serie sui computer, rivelandosi poi una grande narrazione sui sogni e sulla vita, sul contrasto tra il desiderio e la realtà, tra ciò che vorremmo avere e ciò che possiamo effettivamente conquistare. Un racconto che parla degli anni Ottanta in America, ma di cui chiunque può cogliere la vera essenza, senza nemmeno starci troppo a pensare.
Una parte di me vorrebbe quasi che finisse qui. Un po’ perché non c’è un cliffhanger clamoroso (il penultimo episodio sarebbe forse stato un finale migliore, ma anche più “appeso”), e un po’ perché la parabola di questi personaggi, tra speranze e delusioni, successi e amarezze, è già perfetta così.
Ma poi c’è un’altra parte di me che avrebbe voluto dire ancora molte altre cose su questa stagione, e non l’ha fatto per non mettervi di fronte a un post-fiume. Una parte che quindi vuole avere ancora l’opportubnità di parlare di questa serie. Una parte che se non la rinnovano prende il nome dei dirigenti AMC, va a casa loro, e gli mangia via la faccia.