1 Luglio 2014 25 commenti

The Leftovers – Rabbia e disperazione nella nuova serie del creatore di Lost di Marco Villa

The Leftovers è una serie importante, con ambizioni enormi.

Copertina, Pilot

Leftovers

[SPOILER ALERT: NEL POST E NEI COMMENTI
SI PARLA DI QUELLO CHE SUCCEDE NEL PRIMO EPISODIO]

Per prima cosa, quello che non è. The Leftovers non è una roba alla FlashForward, alla The Event o alla Under The Dome. Non è nemmeno una roba alla Lost, nonostante la presenza di Damon Lindelof e la trama lo lasciassero presagire. Perché la trama è esattamente quella tipica delle serie piene di misteri che si ingrossano sempre di più e che finiscono per restare irrisolti.

The Leftovers (in onda su HBO dal 28 giugno), racconta la storia della sparizione del 2% della popolazione umana. Da un momento all’altro, senza preavviso e senza spiegazione. Così ci è stata presentata la nuova serie firmata da Damon Lindelof con Tom Perrotta (autore dell’omonimo romanzo a cui si ispira la serie) e Peter Berg (autore e regista di Friday Night Lights e regista di quella bomba che è Lone Survivor). Ecco, prendete questo concept e mettetelo tra parentesi: la faccenda della sparizione delle persone è una sorta di prologo. È il fatto che mette in moto la storia di The Leftovers, ma non è il centro della narrazione.

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The Leftovers già dal titolo indica di volersi occupare dei rimasti, di quelli che non sono spariti e devono affrontare le conseguenze emozionali e psicologiche del distacco improvviso da figli, madri, padri. Un distacco pressoché impossibile da gestire, perché impossibile da spiegare: nel pilot si insiste più volte sul fatto che nessuno è in grado di spiegare cosa sia successo, compresi gli scienziati e le commissioni d’inchiesta. Di fronte a questa mancanza di spiegazioni, le persone reagiscono in modi diversi: c’è chi si aggrappa a una speranza di tipo religioso (per quanto assurda e insensata sia nel modo di presentarsi) e chi non può fare a meno di idealizzare gli scomparsi. E poi ci sono tutti gli altri, ovvero quelli che provano un solo sentimento: la rabbia. Una rabbia data dall’insensatezza di quello che hanno attraversato e dal timore che possa ripetersi, rendendo così senza alcuna importanza tutto quello che fanno.

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Protagonista di The Leftovers è Justin Theroux, nel ruolo di Kevin Garvey, capo della polizia di una cittadina. Poi ci sono il figlio Tommy, invischiato nel culto di un santone che non sembra troppo raccomandabile e la moglie Laurie (Amy Brenneman, che tutti abbiamo visto almeno una volta tra NYPD, Judge Amy e Private Practice), che ha lasciato la famiglia per unirsi a un altro culto. Al fianco del poliziotto è rimasta solo Jill, figlia adolescente (e bellissima: l’attrice è Margaret Qualley, figlia di Andie McDowell) con i tipici problemi delle figlie adolescenti. E poi c’è Liv Tyler, in un ruolo ancora tutto da capire. Il pilot ruota intorno all’Heroes Day, ovvero la giornata commemorativa per chi è sparito, che viene considerato un eroe, per puro spirito di autoconsolazione e con un’ipocrisia grossa così.

We meet Laurie who wakes in G.R. dorm

La divisione all’interno della famiglia del protagonista esemplifica la situazione di tutti i personaggi di The Leftovers, attraversati da un’angoscia profonda, data dal costante scontro tra la volontà di andare avanti e l’incapacità di staccarsi da quello che è successo. Un sentimento esemplificato alla grande dall’urlo silenzioso lanciato sott’acqua dal figlio di Garvey. Questo senso di angoscia si trasmette anche allo spettatore, soprattutto per via dei seguaci del culto in bianco, gente che non parla, fuma costantemente (nella sede c’è scritto “Non fumiamo perché ci piace, ma perché è la nostra fede”) e fa proselitismo comparendo in continuazione davanti alla gente fino a mandarli in crisi.

È una delle chicche di The Leftovers, che affianca colpi di genio narrativo come questo (o come l’elenco dei vip scomparsi, tra cui l’ex papa Ratzinger e Jennifer Lopez) al racconto della sofferenza dei personaggi. Non sorprende che a firmarla sia Damon Lindelof, il più mistico degli autori di Lost, quello a cui viene data la maggiore responsabilità per il finale ecumenico della serie dell’isola.

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The Leftovers è una serie corposa, pesante: non c’è spazio per nessun tipo di leggerezza. Tutti i personaggi sono tormentati, distrutti internamente e con il disperato bisogno di trasformare la propria rabbia in speranza. La visione del pilot lascia un senso di inquietudine che non si può ignorare e che ricorda (nonostante la totale differenza di storia e stile) le sensazioni provate guardando Twin Peaks. Il riferimento è eretico ed enorme, ma enormi sono anche le ambizioni di The Leftovers. Può succedere di tutto. Può diventare qualcosa di grosso, può fermarsi qui e non decollare. Di sicuro non è una serie come tante e questo è già un gran merito.

Perché seguirla: per il coraggio di realizzare un prodotto che si basa, essenzialmente, su personaggi disperati, senza eccezioni e senza apparente possibilità di salvezza.

Perché mollarla: perché siete arrivati a The Leftovers sperando che fosse una roba piena di misteri e complotti. E invece no, proprio no.

 



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