Fargo – La più bella sorpresa dell’anno di Marco Villa
Ogni episodio una goduria
[SPOILER ALERT: SI PARLA DI TUTTO QUELLO CHE SUCCEDE NELLA PRIMA STAGIONE]
Pochi mesi fa si chiudeva una serie super osannata come True Detective. Entusiasmo generale, una delle migliori serie degli ultimi anni, bomba e tutti d’accordo. Ecco, settimana scorsa è finita la prima stagione di Fargo e no, non ha nulla da invidiare a True Detective.
Fargo è partita con attese altissime dovute al suo stesso titolo e al film dei Coen. Appurato che la parentela con la pellicola si limitava a nome e ambientazione, Fargo si è sviluppata come una serie tv del tutto autonoma, capace di raggiungere in poche settimane alte vette di qualità per scrittura, regia e tono.
Tutta la serie gira innanzitutto intorno a un triangolo di personaggi. Il primo è Lester Nygaard, prototipo del borghese piccolo piccolo che sa raggiungere livelli di violenza imprevedibili. Gran parte della forza del personaggio sta nell’interpretazione di Martin Freeman, che raggiunge il suo punto più alto nella puntata dell’interrogatorio, con dieci minuti di meraviglia. Quella di Lester è una progressiva caduta nell’abisso, segnata prima da frustrazione e poi da un’insensata arroganza, liberata dall’omicidio della moglie e dall’aver incastrato il fratello. Eliminati i due enormi ostacoli della sua vita, Lester rinasce e vive una sorta di delirio di onnipotenza, che lo porta prima a sacrificare per gioco le persone che sono con lui e Lorne in ascensore, poi a mandare a morte sicura la nuova moglie, in uno dei momenti più freddi e duri di tutta la stagione.
Il secondo personaggio è ovviamente Lorne Malvo. Billy Bob Thornton dà vita a uno di quei personaggi che non possono fare altro che entrare di diritto nell’olimpo dei personaggi indimenticabili. Lorne Malvo è una delle figure più violente e dure di tutta la serialità. Il conto dei morti non l’ho tenuto, ma siamo ampiamente sopra i trenta. Lorne Malvo ricorda il killer di Non è un paese per vecchi (sempre per restare in ambito Coen), ma è dotato di uno humour e di un senso del macabro difficilmente riscontrabili in altri personaggi. Basti pensare alla scena in cui, in modo del tutto gratuito, terrorizza i figli del nuovo proprietario della fu casa di Lester. O anche il modo in cui incasina i rapporti tra la proprietaria del motel e il ragazzo giovane nelle prime puntate. Si tratta di cose piccole, ma fondamentali per la costruzione della sua figura: senza questi momenti, sarebbe un personaggio senza nessuna emozione, senza interesse per la vita. Non è così: Lorne Malvo la vita vuole godersela, ma per lui il godimento coincide con la sofferenza che infligge negli altri. Sadismo a livelli record.
Il terzo personaggio è il vicesceriffio Molly Solverson, che è anche il legame più forte con il film dei Coen (là a interpretare la poliziotta incinta era Frances McDormand, ma il parallelo è evidente). Molly è la figura che si inserisce tra i due cattivi per provare a fermarli: le sue intuizioni sono giuste fin dall’inizio, ma il suo superiore incapace (grande Bob Odenkirk) la blocca. Il suo carattere più evidente è la frustrazione, unita a una pazienza senza fine, che le permette, con un anno di ritardo, di venire a capo del pasticciaccio brutto.
Archiviati i personaggi e le trame che li legano, è il caso di passare alla regia. Due momenti su tutti: la sparatoria nella neve e quella nel palazzo dei mafiosi di Fargo. In entrambi i casi, si tratta di scene in cui l’azione non viene mostrata. Arrivare al punto culmine e poi fare un passo di lato: una scelta registica forte e coraggiosa, portata avanti con coerenza per tutte le dieci puntate, compreso il finale, risolto dal personaggio meno eroico e in vista di tutta la serie.
Tutti questi elementi hanno portato a un tono generale davvero unico: fin da subito, Fargo è stata in grado di farsi riconoscere in pochi secondi. Ed è questo l’aspetto più bello e importante della serie di Noah Hawley. La chiusura la merita proprio Hawley: ha scritto tutti gli episodi, proprio come Nic Pizzolatto per True Detective. No, non è un caso.