Deadbeat – Una comedy soprannaturale che fa orrore (nel senso di schifo) di Francesco Martino
Hulu prova a fare il Netflix, e non ce la fa
Quando si parla di serie televisive prodotte in America spesso ci si limita a considerare l’eccellenza, quel gruppo di must alla Game of Thrones o Breaking Bad in grado di disintegrare tutto, di fare un po’ tabula rasa di quando detto e scritto prima del loro avvento e di farci esaltare nella nostra cameretta o davanti alla televisione
La verità però è un’altra, ossia che anche il mondo di Hollywood, quello del piccolo schermo in questo caso, è in grado di dar vita a prodotti degni della miglior serata fiction di Rai 1, poveri di tutto se non del coraggio di proporre programmi così sbagliati che in pochi riuscirebbero a farlo.
Il “dramma televisivo” in questione è Deadbeat, comedy sovrannaturale distribuita da Hulu (parente di Netflix dal punto di vista distributivo) e che vanta come protagonista una vecchia conoscenza del piccolo schermo, Tyler Labine, visto diversi anni fa in Reaper (serie che io e Diego abbiamo promosso come “bellina”), e poi misteriosamente scomparso, se non per una seria di apparizioni casuali (io ad esempio lo ricordo in L’Alba del Pianeta delle Scimmie).
La trama: Kevin Pacalioglu è un sensitivo con il potere di poter comunicare con i morti che girano sulla Terra, quelli che, per una qualche questione irrisolta, non sono ancora riusciti ad arrivare in paradiso. Di questo potere Kevin ha fatto un lavoro, svendendosi al miglior offerente in cambio di pochi dollari e cacciandosi sempre in situazioni complicate. Ed è qui che ci si presenta il primo problema della serie: il protagonista, odioso e comico fino alla nausea, caratterizzato esclusivamente perché grasso (roba da rimanerci offesi) e pigro. Vi basti pensare che anche la sigla di apertura non fa altro che sottolineare questi aspetti, mostrandoci il protagonista in atteggiamenti irritanti e macchiettistici portandoci allo skip ossessivo-compulsivo.
Una buona regola per una buona comedy è (sarebbe) quella di far ridere attraverso i personaggi e non attraverso gag costruite forzatamente usando situazioni che sanno di già visto; ecco, Deadbeat se ne frega altamente di questa regola basando ogni episodio (ne ho masochisticamente visto più di uno) su un singolo caso che porta inevitabilmente alla gag di basso livello.
Nel pilot, ad esempio, il protagonista si troverà a dover soddisfare il fantasma di un soldato caduto in guerra, il cui desiderio è quello di andare al letto con la sua fidanzata, ormai ultra ottantenne, possedendo il corpo del protagonista, e scatenando così una serie di situazioni dove manca solamente la comparsata di Boldi e De Sica con annessi rutti e peti.
Se la scrittura non è la parte migliore di Deadbeat lo stesso si può dire del reparto tecnico, vicinissimo alle produzioni low-budget dei b-movies e spesso tanto brutto da non crederci. Dobbiamo girare una scena ambientata in una parata ma non possiamo permettercene una vera? Nessun problema, montiamo l’immagine dell’attore su un video di repertorio di un mucchio di gente che cammina! Ci serve un fantasma che plagi Slimer dei Ghostbusters ma non abbiamo i soldi per la CGI? Facile, prendi il giocattolo di tuo nipote, lo ingrandisci e lo metti sullo schermo senza nemmeno una singola animazione!
E il discorso potrebbe andare avanti per altre venti righe, tra la realizzazione degli spiriti e le location così povere e scarne da ricordarmi quelle delle ultime stagioni di Chuck (vi ricordate quando la serie era un grosso spot di Subway si?), in un turbinio di cattiva comicità e con un concetto di orizzontalità decisamente molto labile.
Sì perché Deadbeat, in teoria, avrebbe anche una trama, qualcosa che vada oltre al singolo “fantasma delle settimana”, ossia la rivalità tra Kevin e la finta medium di successo Camomille White (interpretata da Cat Deeley, presentatrice/attrice/cantante ricordata nel Regno Unito solo per questo grande momento di televisione https://www.youtube.com/watch?v=30An5MMeAWQ) , intenzionata a distruggere la credibilità professionale del suo rivale, ma che pare essere tanto irrilevante per chi scrive questa serie da essere inclusa saltuariamente in situazioni completamente scollegate tra di loro.
C’è veramente poco da salvare in questo Deadbeat, un prodotto che fosse stato trasmessa da un qualsiasi network e non da una piattaforma on-demand avrebbe chiuso dopo pochi episodi e che, invece, si è addirittura vista arrivare un immeritato rinnovo.
Perché seguirla: perché amate le cose brutte, gli effetti speciali pessimi e avete moltissimo tempo libero
Perché mollarla: perché si trova molto di meglio in giro, addirittura accendendo la vostra TV