Fargo – Dal film alla serie, senza alcuna delusione! di Diego Castelli
Una delle serie tv più attese dell’anno
Nel 1996 venne presentato al Festival di Cannes un film chiamato Fargo, scritto e diretto da Joel e Ethan Coen, due fratelli americani non nuovi alle platee dei festival ma ancora poco conosciuti al grande pubblico. Con Fargo, che dei Coen era il sesto film, tutto cambiò: premio della Giuria a Cannes, varie nomination ai golden globe e poi due oscar nel 1997, per la miglior sceneggiatura originale e per la migliore attrice protagonista.
Da lì in poi, Joel e Ethan diventarono famosi come “I fratelli Coen”, e cominciarono a collezionare un successo dietro l’altro, da Il grande Lebowski a L’uomo che non c’era, da Non è un paese per vecchi (altra pioggia di oscar) a Burn After Reading.
A colpire, di Fargo, non fu tanto la trama, perché in fondo si trattava di una storia di omicidi e truffe in una sperduta cittadina del Minnesota. A fare la differenza erano il tono e lo stile. Sempre in equilibrio tra crime, black comedy, grottesco e surreale, Fargo mise in luce una delle migliori caratteristiche dei Coen: quella di saper imbastire storie pienamente di genere, plasmate però da uno sguardo personalissimo e riconoscibile. Anche a distanza di vent’anni, Fargo rimane un mirabile esercizio di scrittura e recitazione, e la sua visione è consigliatissima a chiunque.
Perdonate la lunga premessa, ma era doverosa. Perché oggi parliamo ancora di Fargo, ma stavolta si tratta di una serie tv in onda su FX, partita lo scorso 15 aprile, che punta a rivisitare il vecchio film fregandose della trama specifica ma cercando di restituire la stessa atmosfera e lo stesso stile. E’ una serie antologica, tipo American Horror Story o True Detective, quindi la prima stagione avrà una trama autoconclusiva mentre l’eventuale seconda seguirà personaggi e storie differenti, pur ambientate più o meno nello stesso posto (perché Fargo è prima di tutto una città, un luogo, e non si potrà prescindere da esso).
I Coen figurano come produttori esecutivi e il cast è d’eccezione: Billy Bob Thornton, Martin Freeman (il nostro caro Watson di Sherlock), e c’è anche un irriconoscibile Bob Odenrkirk, mitico Saul Goodman di Breaking Bad.
La trama, come si diceva, è diversa dal film: là un uomo inscenava il rapimento della moglie per truffare il ricco suocero, mentre qui seguiamo le vicende intrecciate di Lorne Malvo (Thornton), criminale misterioso e filosofico, e Lester Nygaard (Freeman), pavido e represso venditore di assicurazioni. A essere molto simile è invece l’ambientazione dell’inverno minnesotese (chissà se poi si dice così…) e in generale l’approccio ironico e surreale a una trama di per sé potenzialmente tragica.
Bene, ora stacchiamoci dal cinema. Perché sapete come la pensiamo qui a Serial Minds: anche se una serie è tratta da un film o da un libro, a noi interessa che funzioni di per sé. Non ce ne frega niente di sentire frasi come “leggiti il libro prima di giudicare”. No, una serie deve saper camminare con le sue gambe. Se poi ci sono dei plus per chi conosce anche il pregresso, bene, ma non deve essere quella la base del giudizio.
Ed è con sommo piacere che vi dico che Fargo cammina benissimo! Quello che stupisce della scrittura (affidata a Noah Hawley) è la capacità di ricreare quasi a tavolino uno dei temi cardine del film, cioè la perfetta integrazione tra una cittadina piatta e ordinaria, dove a rigor di logica non dovrebbe succedere mai niente – il Minnesota è anche il posto da cui veniva Brandon Walsh in Beverly Hills 90210, e anche lì era descritta come il niente contrapposto al tutto di Los Angeles – e un gruppo di eventi e personaggi interessantissimi. E’ lo stesso concetto della tagline del film, che recitava “molte cose possono capitare nel bel mezzo del nulla”.
Ecco, nel pilot di Fargo succedono un sacco di cose, fisiche e psicologiche, tragiche e divertenti, la cui forza viene in qualche modo amplificata dal fatto di accadere in un posto così inutile, buono giusto per far cadere mezzo metro di neve.
Ma accanto alla scrittura (calibrata, spassosa, deliziosamente deviata) e alla messa in scena (si pensi alla capacità di inscenare una violenza assai truce, ma a suo modo leggera e divertente) bisogna spendere una parola sugli attori. Fargo (il film) viveva anche sulle spalle di alcuni interpreti favolosi, prima fra tutti Frances McDormand (ma c’era anche William H. Macy, che oggi è il nostro idolatrato Frank Gallagher di Shameless).
Stavolta però il risultato non è da meno: su tutti spiccano ovviamente Thornton, delinquente sporco e criptico ma anche stranamente simpatico e saggio, e soprattutto Freeman, semplicemente perfetto nella parte del timido e impacciato Lester, sopravvissuto a una vita di umiliazioni e pronto a un riscatto dalle conseguenze tragicomiche.
Il risultato complessivo sono quasi 70 minuti di divertimento puro, nel senso più ampio del termine: comicità sottile e intelligente, colpi di scena grotteschi, risvolti imprevedibili, momenti di inaspettato lirismo e introspezione. Tutto assolutamente godibile anche per chi non avesse mai visto un solo film dei Coen, ma ovviamente ancora più interessante per chi invece il Fargo originale l’ha visto e apprezzato, perché potrà ritrovare alcuni temi e situazioni ricorrenti, come ad esempio l’avviso iniziale sul fatto che quello che stiamo per vedere è tratto da una storia vera (e non è affatto così, o quasi).
L’unica avvertenza è dedicata a chi, invece, coi Coen ha poca affinità: lo stile di Fargo (la serie) è davvero simile a quello di Fargo (il film), quindi se non vi è piaciuto il secondo, potrebbe facilmente non piacervi la prima.
Perché seguirla: Il film del 1996 è una gemma del cinema americano degli ultimi vent’anni, e la serie riesce a seguirne le orme in maniera sorprendentemente efficace.
Perché mollarla: lo stile-Coen è la vostra bussola: se già non vi piaceva prima, questa serie non vi aiuterà a cambiare idea.
: