Shameless 4 – Sempre al top di Diego Castelli
Una quarta stagione da incorniciare
OCCHIO, PIOVONO SPOILER SULLA QUARTA STAGIONE!
Se ancora non guardate Shameless… be’, è una cazzata.
Intendiamoci, a noi fa anche piacere essere tra i (relativamente) pochi italiani che la seguono, perché godiamo alla sensazione di saperne più di voi. Allo stesso tempo, però, siamo anche altruisti, e quindi ci spiace vedervi vagare privi di scopo in un mondo senza Shameless, convinti che la serie di Showtime sia più che altro un grande collage di scene trash e un po’ stomachevoli. Che ci sono eh, e per quanto mi riguarda sono anche una bella fetta del divertimento.
Ma c’è altro.
Dio, se c’è altro.
La quarta stagione appena conclusa, in particolare, è stata una continua sorpresa. Alla fine della terza non avevamo fatto richieste particolari: quello che avevamo ci piaceva, eravamo soddisfatti, e il continuo sviluppo di situazioni e personaggi incontrava pienamente il nostro gusto.
Ma gli autori devono aver pensato che bisognava comunque accelerare, spazzare via ogni rischio di ripetitivtà, specie in un’annata dove l’uscita di scena di un personaggio come Jimmy sembrava togliere qualche potenzialità narrativa.
Be’ che dire, se prima non ci si poteva lamentare, qui bisogna proprio fare qualcosa di concreto. Che ne so, dei bonifici a Paul Abbott, una cosa così.
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Tra i mille spunti e i mille temi di questa stagione, mi sembra che il più importante sia quello che potremmo chiamare “dell’ingresso nell’età adulta”. E’ stata una stagione di grandi cambiamenti, in cui diverse linee di sviluppo già abbozzate negli anni scorsi sono esplose in trasformazioni radicali, talvolta prevedibili, altre volte molto meno. E le trasformazioni hanno coinvolto praticamente tutti: Fiona, costretta a fare i conti con una sorta di gene-Gallagher che sembra condannarla a una vita sprecata fatta di alcol e pasticche; Lip, che proprio quando comincia a prendere sul serio il college deve intervenire per salvare la famiglia diventando l’uomo di casa; Deb, frustrata dalla pubertà e ansiosa di diventare donna; Ian, anch’egli vittima del gene-Gallagher, stavolta da parte di madre; Carl, che mai come in questa stagione diventa un buffo e surreale simbolo di amore (filiale prima, romantico poi); e poi il sorprendente Mickey, che l’anno scorso definivo “quel coglione di Mickey”, e che ora è diventato un cuccioline tenerissimo, giusto un filino sboccato-violento.
Al netto della bontà di tutti gli spunti, mi sembra che il meglio stia comunque dalle parti di Fiona e Lip, chiamati a passare attraverso l’inferno e capaci uscirne cresciuti e, malgrado tutto, ancora uniti. Magistrale, in questo senso, la capacità degli autori di invertire sostanzialmente le parti – Fiona passa da “madre” a ragazza senza futuro, Lip da genio fancazzista diventa “padre di famiglia” – senza farci minimamente sentire lo stacco, sviluppando la psicologia dei personaggi in modo così fluido da non rischaire mai di farceli percepire come estranei. A Fiona e Lip succede di tutto, ma alla fine abbiamo comunque la precisa sensazione di avere di fronte Fiona e Lip. Un aiuto, ovviamente, viene dagli attori, che di certo non ci fanno pentire di avergli dato il nostro voto come migliori attori protagonisti dello scorso anno. Emmy Rossum e Jeremy Allen White sono due fottuti geni, e l’ampiezza di sfumature che sono capaci di dare ai loro alter ego è qualcosa che lascia a bocca aperta.
Da grandi attori a grande attore, bisogna chiudere con Frank. Se il tema dell’anno è il crescere, il diventare grandi, e bene o male tutti riescono nel difficile compito, per contrasto era necessario avere anche qualcuno che fallisse. E se ci deve essere un fallito, be’, chi meglio di Frank Gallagher?
Frank stavolta se la vede davvero brutta, e passa buona parte della stagione in uno stato semi-comatoso che sembra condurre solo verso la morte, una morte che il poveraccio continua fino all’ultimo a rifiutare, come se non fosse nemmeno un’ipotesi plausibile. Anche Frank dunque passa attraverso l’inferno, ma al contrario dei suoi figli non riesce a dare una svolta a se stesso e alla propria vita, nonostante il disinteressato aiuto di una “nuova figlia” (peraltro, spendiamo un piccolo pensiero sulla bellezza ontologica del piccolo e rubicondo Chuck).
L’ultima scena, in questo senso, è eccezionale. Per un attimo abbiamo l’impressione che Frank, reduce da un trapianto di fegato che l’ha strappato alla bara, stia per abbandonare la sedia a rotelle per alzarsi, camminare (l’episodio di chaima Lazarus) e gettare nel lago la bottiglia di alcol che è la fonte di tutti i suoi problemi. In uno scenario abbacinato, luminoso, bellissimo, fotografato splendidamente (ci sono stato, in quel posto lì, e per quanto bello non me lo ricordo “così bello”), Frank ha la possibilità di redimersi, di iniziare un nuovo percorso. E invece beve. E beve pure di gusto, lasciandosi poi andare a una straordinaria invettiva contro quel Dio che sembrava pronto a fargliele scontare tutte, e che invece ha fallito nel più classico proposito di chiamarlo a sé.
Di per sé sarebbe una scena liberatoria, entusiasta, in pieno stile Frank Gallagher. Ma ancora una volta non è (né può essere) tutto rose e fiori. C’è un’ombra, negli occhi di Frank, la consapevolezza di aver solo rimandato l’inevitabile e di non essere abbastanza forte da fare qualcosa al riguardo. E la presenza quasi muta di Carl, un ragazzino a cui Frank chiede con insistenza una specie di supporto morale, serve proprio a gettare un velo scuro su questa altrimenti straordinaria esplosione di vita. E’ vero Frank, sei sopravvissuto, e puoi prenderti questo momento di rivincita. Ma le tue scelte rimangono pessime, e c’è ancora il rischio che ci vada di mezzo qualcosa di più grande della tua semplice, sola vita.
La forza di Shameless, e di una stagione che ci ha sballottato e prosciugato, sta forse proprio qui: nella capacità di costruire un’inverosimile, eppure credibilissima, coesistenza degli opposti. Luce e ombra, razionalità e follia, dolce speranza e amara realtà.
In attesa che quella piccola, sorprendente scena dopo i titoli di coda porti nuovo scompiglio in una situazione che sembrava appena appena più pacifica del solito.
Quanto manca a gennaio?