The 100 – Una specie di Lost versione adolescenziale di Marco Villa
The 100, ovvero cento ragazzini spediti su un pianeta radioattivo: la Terra
Ogni nuova serie di The CW è un brivido lungo la schiena. Il network per eccellenza per i prodotti adolescenziali è sempre in prima fila quando si tratta di serie tv imbarazzanti. Un nome solo: Beauty and The Beast, che ancora mi tormenta il sonno nelle gelide notti d’inverno. No, non è vero, ma il trauma fu comunque forte. Quest’anno The CW non ha sfornato robe tremende e per questo l’approccio con The 100 era quantomeno timoroso, non fosse altro che per una questione statistica. E invece. Niente capolavoro, nemmeno si riesce a definire bello questo pilot, però qualcosa c’è.
The 100 è una serie tv creata da Jason Rothenberg e basata sui libri di Kass Morgan. In un futuro non precisato, la terra è stata distrutta da un’apocalisse nucleare. Una piccola parte della popolazione terrestre si è rifugiata sull’Arca, una stazione spaziale in cui vige una legge marziale severissima: chiunque commetta un reato, qualsiasi tipo di reato, è condannato a morte. Non c’è del sadismo estremo (anche quello, probabilmente), ma dei calcoli di sopravvivenza: lo spazio e le risorse sono poche, chi sgarra non merita di restare in vita e sottrarne agli altri. Ecco allora che 100 diciottenni rinchiusi in prigione per motivi vari vengono spediti sulla Terra, per vedere l’effetto che fa e controllare se è ancora tutto super-radioattivo o se le cose stanno migliorando e si può iniziare a preparare la Fiat Regata per tornare a casa dalla vacanza interstellare.
The 100 è ambientata quindi in due luoghi: il primo è la stazione spaziale dove Henry Ian Cusick (Desmond di Lost) interpreta un cattivissimo e super-ambizioso militare/politico, che vuole prendere il potere ed è disposto a sacrificare chiunque. A lui si oppone il personaggio di Isaiah Washington (il dottor Burke di Grey’s Anatomy), severo ma giusto capo della situazione. Poco interessante? Eh, direi per nulla interessante. Per fortuna a risollevare la faccenda c’è la parte sulla Terra: in sostanza siamo di fronte alle vicende di ragazzini lasciati in libertà per il weekend, con la differenza che a essere libera non è una casa, ma un intero pianeta. E questi ovviamente cazzeggiano, si dividono in branchi, bullizzano, fanno un po’ quello che vogliono. Fin da subito emergono le figure carismatiche: la leader paloinculo (Eliza Taylor) che vuole rispettare gli ordini impartiti dagli amici della stazione spaziale, il ribelle (Bobby Morley) che vuole impedire agli stessi amici della stazione spaziale di raggiungerli. Come logico, fin da subito partono anche gli incroci amorosi, sottolineati da dialoghi che a tratti spingono al facepalm.
Se le battute non sono certo felicissime, non va meglio con lo stile narrativo: il primo episodio di The 100 è quanto di più spiegato possiate immaginare. Io non sono uno sceneggiatore e odio quelli che si mettono a dire come andavano fatte le cose, ma davvero non ci si crede a quanto gli autori abbiano voluto spiattellare tutto lo spiattellabile in così pochi minuti, privando le prossime puntate di tanti elementi sul passato e sulla storia della stazione spaziale e dei suoi inquilini. Vabbé, amen.
Nonostante questi tratti negativi, The 100 rimane comunque un pilot interessante: la serie in fondo è una specie di Lost post-atomica, in cui sono già comparsi animali strani e misteriosi, ci sono delle basi sotterranee da trovare e ci sono pure gli altri. Sappiamo tutti che Lost è diventata Lost grazie a un delicatissimo gioco di equilibri: difficilmente The 100 proverà a costruire una narrazione precisa e accurata, più probabile che giochi d’impatto e non si faccia problemi ad andare giù con l’accetta. A suo modo, potrebbe anche essere la scelta giusta. Il condizionale però, in questo caso, ha un peso davvero gigantesco. E poi diciamolo: l’idea della scolaresca in gita sul pianeta radioattivo ha il suo fascino.
Perché seguirla: per il concept originale e per alcuni sviluppi che hanno chiaramente del potenziale
Perché mollarla: perché certi dialoghi e certe scelte narrative fanno cascare le braccia