Resurrection – Un po’ come Les Revenants, ma solo un po’ di Chiara Grizzaffi
Morti che tornano in vita ma non sono zombie: Resurrection vi ricorda qualcosa?
Dall’Inghilterra mi tocca venire in soccorso di Marco Villa, e mettere per un attimo da parte il mio piano per sposare Benedict Cumberbatch e vivere per sempre felici e contenti a Downton Abbey. Colpa tua Castelli, ed è inutile che posti su Facebook le tue foto in Florida, che tanto lo sanno tutti che in fondo è un paese per vecchi.
Ma veniamo al dunque, e parliamo del pilot di Resurrection, nuova serie ABC. In una cittadina del Missouri, Arcadia, i morti iniziano a tornare in vita e a bussare alle porte di amici e parenti. Suona familiare? Probabilmente sì se avete visto la meravigliosa serie francese Les Revenants, ma attenzione perché Resurrection non è il remake di Les Revenants, ha perfino un’altra fonte – il romanzo di Jason Mott The Returned (il vero remake, per inciso, si farà a breve).
Inutile dire che per quanto ci tengano più o meno tutti – dai creatori della serie ai critici tv – a ribadire che non siamo di fronte alla versione made in USA della serie francese, il paragone è inevitabile, e lo hanno fanno tutti. Ora, vorrei evitare discorsi tipo “i soliti americani che non sanno fare niente di originale” perché a me i discorsi sull’originalità fanno venire l’orticaria, giuro. Credo che quello dell’originalità sia più che altro un falso mito, considerando ben poco, forse niente di quello che vediamo ogni giorno è in sé e per sé originale. E a contare, secondo me, non è solo il cosa si racconta, ma il come lo si fa: perfino un remake shot by shot può avere la sua dignità e i suoi motivi di interesse.
Tutta questa menata per dire che cercherò di approcciare il pilot di Resurrection senza pregiudizi, ma probabilmente non ci riuscirò. In ogni caso, una cosa è certa: la somiglianza con Les Revenants è appena nell’idea “morti che ritornano e non sono né zombie né vampiri”. Fin dai primi minuti del pilot si capisce che in realtà siamo di fronte a una delle tante produzioni fantascientifiche ABC, la più nobile delle quali (Lost) è richiamata fin da subito dall’inquadratura del bambino e primo “ritornante”, Jacob, che apre gli occhi dopo essere “precipitato” in un luogo sconosciuto (ciao Jack Shepard, mi manchi un casino). E che si scoprirà essere appunto morto la bellezza di 32 anni prima per annegamento, insieme alla zia.
Segue recupero del suddetto bambino da parte di quello che presumibilmente è l’eroe della serie, nonché una nostra vecchia conoscenza telefilmica (Omar Epps, il Foreman di House): non sfuggirà al serialminder più accorto che il momento emblematico in cui fra i due si crea un timido legame di fronte a un hamburger è anche quello in cui capiamo che 1. il bambino, con quello sguardo da cucciolo smarrito, ci è già insopportabile, un rompipalle seriale di prima categoria 2. il nostro protagonista ha un passato traumatico alle spalle e quindi è destinato alla sensibbilità e all’empatia verso il cucciolo smarrito. Ci sta abbastanza sulle balle anche lui, insomma.
Il concetto è che non dovete aspettarvi di vedere reazioni sfumate, sofferta elaborazione del lutto, ferite e traumi che riemergono gradualmente. Qui siamo piuttosto di fronte a una serie in cui sviluppi narrativi e relative chiavi di lettura sono piuttosto strombazzate: ecco il poliziotto che, in seguito a uno dei crimini di cui si è occupato, crea da subito un legame con il piccolo Jacob, che lo porterà a infrangere le regole e a interessarsi al caso più del dovuto; ecco il padre scettico e la madre speranzosa; ecco il mistero legato alla morte del piccolo e della zia; ecco la nostra giovane dottoressa con cui probabilmente il poliziotto creerà un legame sentimentale, e che guarda caso è anche la cugina di Jacob, figlia di quella zia annegata insieme a lui. E fra poco, ci scommetto, si faranno vivi anche i presunti cattivi, quelli che su queste misteriose resurrezioni sanno più del dovuto.
E se il “cosa” di cui sopra, la trama della serie, non è fra i più esaltanti, nemmeno il “come” sono raccontate le vicende è di quelli che fanno gridare al miracolo. Niente atmosfera, nessun vero alone di mistero, ma tanti dialoghi che ci hanno già spiegato parecchio, tante reazioni emotive sintetizzabili grossomodo in “faccia vagamente basita”, inquadrature che sottolineano questo o quell’indizio, insomma il solito repertorio di quelle serie fantascientifico-misteriose che vorrebbero rimanessimo incollati al televisore per scoprire perché una grossa cupola ha imprigionato i cittadini di X, o perché tutti gli abitanti della terra hanno perso conoscenza per poi avere visioni del loro futuro. Senza rendersi conto che il mistero, spesso, è più un fatto d’atmosfera: per quanto un concept possa essere brillante o intrigante sulla carta, andrebbero altrettanto sviluppati la psicologia dei personaggi e il tono, il mood della serie. Quello di Les Revenants è inconfondibile, e ben chiaro fin dalle prime inquadrature. Quello di Resurrection è fiacco, tutto rimane in superficie. Per amore di verità vi avviso che il pilot è stato un successo in termini di audience, e se mantiene dei numeri di questo tipo la serie potrebbe avere lunga vita alla faccia mia insomma. Ma per quanto mi riguarda, da Flash Forward in poi ho capito che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare.