True Detective – Una delle serie tv più belle di sempre di Marco Villa
Alla fine della prima stagione si può dire: True Detective è un capolavoro
[SPOILER ALERT: SI PARLA DEL FINALE DELLA PRIMA STAGIONE DI TRUE DETECTIVE]
[ma niente di tragico eh]
È finita True Detective. Otto puntate letteralmente volate, senza cali o passaggi a vuoto. Otto puntate per entrare senza alcuna possibile protesta nel mondo dorato delle Serie Della Madonna.
True Detective è una di quelle serie tv che si impongono all’istante: l’abbiamo detto in occasione del pilot e l’abbiamo ripetuto pressoché ogni settimana nei Serial Moments. True Detective si è imposta perché è radicalmente diversa dai crime che abbiamo visto finora: l’unico paragone può essere fatto con The Wire, anche se in questo caso il rapporto tra storie dei poliziotti e indagine è ancora più sbilanciato verso il primo versante.
True Detective è la storia di due uomini profondamente diversi tra loro, che affrontano due crisi personali altrettanto diverse e nel frattempo conducono un’indagine su un serial killer. Ho detto nel frattempo, perché pur essendo fondamentale per la serie stessa, l’indagine è solo la scusa per andare a fondo nelle psicologie di Marty e Rust. Ciononostante, la parte investigativa rimane comunque interessantissima: difficile da seguire per quanto è (volutamente) sfilacciata, ricca di nomi e povera di aiuti per lo spettatore, ma potentissima. Nel corso delle otto puntate sono tre i momenti di vera potenza narrativa legati all’indagine: il pianosequenza infinito della quarta puntata, l’ingresso nella scuola abbandonata dopo aver incrociato il serial killer (senza sapere nulla, ovvio), la sequenza finale nei labirinti di legni e cadaveri. Tre sequenze di grandissima tensione, che diventano emotivamente ancora più rilevanti perché piazzate in mezzo a una serie che rimane sempre molto tesa, ma in modo latente, senza mai sfogarsi.
L’ultima puntata di True Detective è perfetta per come riesce a riassumere tutti gli elementi fondamentali della serie: il rapporto tra Rust e Marty (riportato in vita da nuove chiacchiere a senso unico durante i viaggi in macchina), le indagini a tappeto in case piccole e caldissime, senza farsi mancare un’escursione nella malattia perversa del rapporto tra Billy Childress e la sua sorellastra. E senza farsi mancare nemmeno una sequenza riassuntiva dei luoghi della serie, giusto prima dell’epilogo. E poi la scena finale, in cui i due protagonisti si sciolgono un po’, chiudendo la stagione con una nota positiva e con il discorso non pessimista di Rust, che lo scontro con Childress ha trasfigurato in una sorta di Cristo deposto dalla croce.
Non si può chiudere il discorso senza parlare di chi ha materialmente realizzato True Detective. I nomi sono quattro. I primi due sono Woody Harrelson e Matthew McConaughey: se True Detective è una serie di personaggi, il fatto che sia bellissima è per forza merito doprattutto dei due interpreti principali. Se Harrelson è da sempre nei nostri cuori, ormai non c’è bisogno di dire nulla nemmeno su McConaughey: è il suo anno, ha vinto l’Oscar con una prova stupenda e ha reso Rust Cohle un personaggio immortale. Gli altri due nomi sono Nic Pizzolatto e Cary Joji Fukunaga, rispettivamente autore e regista di TUTTI gli episodi. Una unità di scrittura e regia che ha portato ai risultati che abbiamo visto: qualità sempre costante, stile e messa in scena senza la minima sbavatura. La scelta di chiudere tutta la storia dopo otto episodi permette poi di avere una soddisfazione totale, senza il rischio di far sprofondare personaggi e serie in un cliché. Ci sarà una seconda stagione, ma riguarderà storie, personaggi (e quindi interpreti) del tutto differenti.
Per una volta, quindi, non c’è nessun paragrafetto dubbioso o critico da aggiungere. L’unica chiusura possibile di questo post è che True Detective è un capolavoro. Punto, fine. Una delle serie tv migliori di sempre. È durata poco, Marty e Rust ci mancheranno tantissimo, ma sappiamo che è stato giusto così. Una serie perfetta.