The Walking Dead 4 – E mo’ Carl ci sta quasi simpatico (quasi) di Diego Castelli
Più si avvicinano alla morte e più ci piacciono
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OCCHIO, SPOILER SULLA 4×09 DI THE WALKING DEAD!
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A poco più di due mesi da un midseason finale tanto potente quanto contraddittorio – potente perché portatore di una forte accelerata narrativa, contradditorio perché incapace di mettere d’accordo tutti i fan duri e puri – eccoci pronti alla seconda parte della quarta stagione di The Walking Dead.
Un episodio che mi è piaciuto molto, soprattutto perché capace di andare oltre un preciso problema che mi preoccupava parecchio.
Sapevamo che la prigione era ormai un ricordo, e ci eravamo anche detti che tutto sommato era anche ora. C’era trepidazione all’idea di tornare in campo aperto, in mezzo ai pericoli, senza comode mura a proteggerci dai non morti.
Allo stesso modo sapevamo che i nuovi episodi sarebbero stati figli di una diaspora che aveva visto tutti i protagonisti fuggire in direzioni diverse, a piccoli gruppi o anche in solitaria. Uno scenario che sembrava suggerire puntate tematiche dedicate a personaggi specifici, senza continui cambiamenti di fronte.
Proprio a questa impostazione era legata la mia paura: il timore, cioè, che vedere da soli Rick e Carl per un intero episodio mi avrebbe completamente liquefatto i testicoli. Perché diciamolo: Carl è sempre stato uno dei bambini più fastidiosi della Terra (ora sicuramente il più fastidioso, visto che sono rimasti in pochi), e il Rick vedovo era quasi peggio, preso tra allucinazioni, desideri bucolici tipo io-gli-zombi-non-li-uccido-c’ho-i-pomodori-da-curare, e altre simili piacevolezze che poco avevano a che fare con lo sceriffo sempre malinconico ma comunque cazzuto delle stagioni precedenti.
Invece, udite udite, la famiglia Grimes è riuscita a starci quasi simpatica. Che poi il protagonista è Carl, visto che Rick zoppica tumefatto per neanche metà episodio prima di svenire lasciando Carl libero di farsi delle gran seghe mentali. E le seghe mentali erano in fondo quello che mi preoccupava di più.
In questo senso, lo sbarbatello non ci ha fatto mancare niente: primo perché tuo padre è una pezza al culo ma ti ha salvato la vita ottocento volte, piantala di essergli così irriconoscente. E secondo perché Chandler Riggs, l’attore che interpreta Carl, è davvero un cane. Il monologo strappacuore in cui si produce di fronte al genitore svenuto è una roba da oratorio feriale e poco più. Per non parlare di quel “I win” pronunciato dopo ogni vittoria, che sembra l’irritante autoaffermazione di un bulletto di periferia.
Cos’è allora che salva padre e figlio dalle pernacchie? Be’, li salva la forza della storia e della dinamica in cui sono inseriti. Perché in termini di rapporto padre-figlio, e di reazione al mondo ostile che li circonda, Rick e Carl sono giusti e precisi. Per quanto i due attori possano sembrarci pedanti, e per quanto certe scelte di dialogo siano un po’ fragili, la storia di sto padre e sto figlio costretti a sopravvivere da soli è forte di per sé, ci porta a chiederci che ne sarà di loro, e ci spinge a provare un’istintiva empatia quando uno zombie cerca di staccare la gamba al ragazzo. Certo, il nostro cervello vorrebbe vedere questo borioso saccentello sbranato senza pietà, ma in fondo il nostro cuoricino batte per la sua sopravvivenza.
Se questo nucleo narrativo non basta, c’è poi anche Michonne, pure lei un po’ impaludata in discorsi e ricordi fin troppo lacrimosi, ma comunque capace di improvvise botte di figaggine tamarra (e il sogno-ricordo legato ai vecchi amici è particolarmente efficace da un punto di vista puramente visivo).
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E poi, be’, poi ce lo siamo già detto: la prigione è andata, e sentiamo che quello che abbiamo visto in questo episodio è la vera anima di The Walking Dead: pochi sopravvissuti costretti a vagabondare senza meta in un mondo distrutto, cercando di portare a casa la pelle e, se possibile, quel minimo di umanità che ancora gli rimane.
Poi è ovvio che le due componenti si rafforzano a vicenda, e tutto sta a trovare un equilibrio: la forza della fuga si basa sul tempo passato al sicuro, così come l’arrivo al prossimo rifugio sarà reso più dolce dal pericoloso tempo speso per trovarlo. Ma se dobbiamo scegliere cosa preferiamo tra le due, il sadismo prevale: prendete i personaggi, sbatteteli in mezzo ai pericoli, e vediamo che succede.
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