Sons of Anarchy – Altro finale da standing ovation di Diego Castelli
La miglior serie su piazza. E basta.
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ATTENZIONE SPOILER! NON LEGGETE SE NON AVETE VISTO IL SEASON FINALE DI SONS OF ANARCHY!
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Quando decidi di creare un blog di serie tv (ma in realtà un blog di qualsiasi cosa) il tuo obiettivo non è tanto (o non è solo) quello di convidere esperienze con persone che partecipano delle tue passioni. Il tuo primo scopo, molto più superbamente, è quello di insegnare qualcosa. Credi che le tue esperienze – nel nostro caso esperienze serialtelevisive – ti diano gli strumenti per dare consigli, se non proprio sulla vita, quanto meno su come spendere parte del tempo libero.
Ecco, per noi Sons of Anarchy è una missione. Ogni volta che convinciamo qualcuno a seguirla percepiamo un’eco di gioia nel cuore. Credo sia la serie che più abbiamo pompato, consigliato, analizzato, esaltato. Sempre in barba ai critici più navigati, che allo show creato da Kurt Sutter non hanno mai voluto dare uno straccio di premio importante.
Ebbene, ancora una volta noi vi diciamo che, finché c’era Breaking Bad, uno poteva avere legittimi dubbi. Ma ora non c’è più molto margine di manovra: Sons of Anarchy è la migliore serie su piazza. Punto e a capo.
Questo season finale è nuovamente riuscito a fare quello che credevamo impossibile: alzare ancora il livello, elevare ancora la qualità, dopo che con la puntata della morte di Clay credevamo che ormai si fosse toccato l’apice. E invece no, Sutter ha una scorta pressoché infinita delle proverbiali frecce da incoccare nell’arco.
Questa volta ci siamo andati davvero vicini, alla fine di tutto. E il motivo è un cambio di prospettiva da parte di Jax Teller, che dopo aver passato stagioni e stagioni a inseguire il sogno del padre (il sogno di un club onesto e per questo in buona salute), aveva finalmente capito che la sua natura di eroe tragico gli imponeva una e una sola mossa, l’unica capace di cambiare davvero le cose: il sacrificio.
In questo senso, la scena del dialogo con Tara, al parco, e poi le scene immediatamente successive, sono di un’importanza epocale nell’economia dello narrazione. Dopo aver a lungo macchinato per risolvere i mille intrighi criminal-politici dei suoi partner commerciali (chiamamoli così), Jax capisce che l’unico modo che ha per redimersi e tenere unita la sua famiglia non è usare un’arzigogolata forma di violenza strategica, ma semplicemente mollare il colpo, costituirsi, andare in prigione e così espiare le sue colpe, proteggendo allo stesso tempo il club, la moglie e i pargoli.
Al di là dei casini con i Mayans, poco disposti a seguire pedissequamente le indicazioni di Jax, la serie poteva effettivamente finire così, col giovane Teller che va in galera, si fa qualche annetto di purgatorio e poi torna libero, pronto a riabbracciare parenti e amici.
Il tutto grazie a una trasformazione radicale di Tara, che in poche scene passa da spiona spaccamaroni a puro concentrato di realtà extratelefilmica. Mi spiego meglio: noi siamo abituati a vedere Jax e compagnia con occhio romantico, uno sguardo che accetta la violenza come parte integrante di questo tipo di storie televisive e che quindi diventa strumento pressoché indispensabile al raggiungimento dei buoni propositi dei protagonisti. In questa visione, Tara è un insetto fastidioso che rompe i coglioni e mette i bastoni tra le ruote a tutti.
In realtà, però, Tara è forse il personaggio più realistico dello show. E’ (era) un promettente chirurgo, con due figli, che desiderava una vita e un marito normale, e che si trova a vivere in un mondo in cui le prime soluzioni a qualunque problema sono la morte e la violenza. E alla fine scappa. Pensateci bene: pensate a quello che faremmo noi persone normali, a stare insieme a un tizio che praticamente ogni due giorni ammazza qualcuno. Ci cagheremmo addosso in continuazione, ecco cosa faremmo, e cercheremmo di salvare i figli da un ambiente decisamente poco sano.
Questa botta di realtà, questo momento in cui il pianto disperato e la paura di Tara diventano un riflettore puntato sull’illusione di Jax (l’illusione di uscire dal circolo della violenza usando la violenza), è un punto di svolta radicale, in cui il protagonista si convince definitivamente a cambiare una strategia che andava avanti senza risultati apprezzabili da sei stagioni.
Fin qui, tutto bene. Tutto giusto, tutto bello, tutto indirizzato verso il bene. Poi però qualcuno si ricorda che è già stata confermata una settima e ultima stagione.
E quel qualcuno non può essere che lei, Gemma, di fatto il primo e più importante motore di Sons of Anarchy. Senza di lei non esisterebbe la serie (perché è lei a dare l’approvazione definitiva all’omicidio di John Teller, molti anni fa), e ora non esisterebbe la settima stagione.
Male indirizzata da informazioni errate, Gemma decide di difendere la sua famiglia minacciata da Tara nell’unico modo che conosce, quello stesso modo che Jax ha appena rinnegato: raggiunge la nuora e l’attacca, uccidendola brutalmente con un forchettone da arrosto.
E’ una scena pesante, carichissima, seguita da un’altra scena ancora più straziante, quella della scoperta del fattaccio da parte di Jax.
Tralasciando un attimo certi elementi di contorno che l’anno prossimo si riveleranno molto importanti (come il comportamento di Juice sulla scena del delitto), quello che ci rimane negli occhi e nello stomaco è un momento di altissima emozione e di terribile sconfitta, un momento in cui ciò che di buono sembrava poter nascere dal sacrificio di Jax viene distrutto con ferocia primitiva dalla sua stessa madre.
E anche qui c’è da notare una nota stilistica: è infatti difficile non fare un paragone con l’altra grande morte di questa stagione, quella di Clay. Là avevamo una vendetta a lungo preparata, ponderata e persino votata al tavolo del club. Una vendetta che quindi è fredda, bianca, asettica, silenziosa, in cui le parti in causa quasi dimenticano le emozioni più viscerali, come la paura e la rabbia, sostituendole con la semplice accettazione di un destino già scritto.
Questa volta, invece, a farla da padrone sono l’odio, la paura, e un istinto di conservazione mal riposto e mal consigliato. Tutte cose che, come ci insegna Yoda, conducono sempre al Lato Oscuro.
Ragione e istinto, riflessione e impeto, coraggio e paura, luce e ombra. E’ stata una stagione all’insegna degli opposti, e del tentativo di trovare un compromesso che sembrava incredibilmente vicino, salvo poi evaporare in una nuvola di sangue.
Non sappiamo cosa succederà, anche se temiamo che non ci possa essere un destino felice per Jax, Gemma e tutto il club.
Quello che di sicuro sappiamo, è che abbiamo visto l’ultimo season finale di Sons of Anarchy. Il prossimo sarà un series finale.
Preparate i fazzoletti.
E le bestemmie.