The Walking Dead 4 – Midseason finale e TABULA RASA! di Diego Castelli
Un’accelerata di quelle importanti
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OVVIAMENTE E’ PIENO DI SPOILER, NON LEGGETE SE NON SIETE IN PARI!
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Cominciamo col dire che questa stagione di The Walking Dead mi stava piacendo a sufficienza, già prima del midseason finale. Tutto come previsto eh: l’epidemia di raffreddore alla prigione ha decimato i già pochi sopravvissuti tipo peste bubbonica, ha messo alla prova menti già abbastanza provate, e ha causato più o meno direttamente sommovimenti interni dalle conseguenze imprevedibili (vedi Rick col mestruo che caccia Carol). Ma il tutto trasmetteva quel piacevole senso di morte e disastro che è un po’ croce e delizia per noi spettatori, portati naturalmente a patteggiare per i protagonisti ma contemporaneamente ansiosi di vederli morire uno dopo l’altro.
Però mancava qualcosa: la semplice epidemia era un nemico particolarmente ostico, ma anche invisibile e impalpabile. E prima o poi finisci col desiderare un nemico vero, di quelli da prendere a pedate nel culo.
Ecco allora il ritorno del Governatore, lasciato sparire con troppa fretta alla fine della stagione scorsa e tornato in scena imbarbonito e apparentemente rabbonito, pronto in realtà a riscoprire la malvagità di sempre.
Qualche settimana fa l’avevamo detto: gli episodi interamente incentrati sul Governatore potevano essere una grande idea, ma anche un’arma a doppio taglio. Alla fine se la sono cavata, e la parentesi extra-Rick è servita – oltre che a nascondere l’ex sceriffo piagnucolante con l’occhio vitreo rivolto all’orizzonte – a ricostruire una figura di Governatore che fosse dignitosamente credibile come vero Cattivo.
Bisognava proprio dargli un po’ di spazio per (ri)crescere e, per quanto la sua parabola sia stata di nuovo un po’ troppo svelta, è servita allo scopo: far riemergere un bastardo che non aveva mai smesso di essere tale, e che si era semplicemente nascosto sotto la maschera di un ex paparino pronto a rifarsi una famiglia. E’ bastato fargli vedere i vecchi nemici per fargli tornare la sete di sangue.
Ma è proprio il midseason finale l’episodio che spazza via tutto e consente alla serie di trovare un vero, nuovo inizio. Succede di tutto in questa puntata, con quel concentrato di emozione e tamarraggine che ormai è marchio di fabbrica di The Walking Dead: sparatorie, carri armati, zombie ovunque, morti eccellentissime, un Daryl Dixon in gran spolvero. Soprattutto, questo episodio chiude contemporaneamente sia la storia del Governatore che quella della prigione, con i nostri che devono abbandonare le mura amiche per sparpagliarsi verso un futuro ignoto e particolarmente preoccupante.
Perché diciamolo: la prigione aveva fatto il suo tempo. L’idea della malattia era riuscita ad allungare dignitosamente il brodo, ma era evidente che non potevamo chiudere un’altra stagione con Rick e compagnia ancora al sicuro del penitenziario. C’era bisogno di un colpo di spugna che eliminasse l’elemento più deleterio per una serie come questa: la speranza. TWD diventa imperdibile quando la speranza è cancellata, e l’unico motore dell’agire dei protagonisti è l’istinto di sopravvivenza. Allora sì che ci si diverte.
La diaspora finale, seguita alla fine del Governatore e alla dolorosa morte di Hershel (minchia, tra l’altro), apre possibilità pressoché infinite, soprattutto considerando che il gruppo non esiste più: Rick è rimasto da solo con Carl, Daryl è per i fatti suoi (andrà in cerca di Carol?), Glenn è stato diviso da Maggie e smuoverà mari e monti per ritrovarla. Tutte storie liberate dal big bang narrativo della fuga, che consegna al prossimo futuro numerosi fronti da toccare e approfondire.
Ma soprattutto, al di là degli elementi di struttura più generale, possiamo godere di quei piccoli e grandi dettagli che fanno battere il nostro cuore da camionisti. Perché The Walking Dead, tranne certi sprazzi di seconda stagione, non ha mai avuto la solidità strutturale di un Breaking Bad o di un Sons of Anarchy, il suo intreccio è sempre stato inferiore. Ma quando decide di spingere sul pedale dello splatter e dei colpi di scena a sfondo funebre, be’ allora scattano gli applausi: vogliamo parlare della violenza con cui il Governatore stacca la testa a Hershel? Deliziosa! O del momento in cui Daryl spazza via praticamente da solo mezzo esercito nemico? Fantastico! E non servirebbe nemmeno citare le bambine, ex allieve di Carol, che dimostrano di aver imparato ben bene la lezione (oltre a essere diventate tiratrici provette un po’ dal nulla, ma diciamo che sparavano da vicino, va…).
Insomma, goduria tamarra come nei momenti migliori. Poi certo, so bene come Walking Dead sia capace di dividere il pubblico meglio di tante altre serie, ma quando leggo in giro cose come “Daryl non potrebbe mai farsi scudo con lo zombie perché lo zombie è molliccio” non posso che pensare: ma l’avete visto quanto era figo il Dixon in quella scena? E voi ci avreste rinunciato in nome della verosimiglianza? Ma va, dai…
No ecco, scherzi a parte un problema vero c’è, e si trascina pure da un po’ di tempo: il protagonista della serie, l’eroe, il faro che guida la truppa di sopravvissuti, è ormai diventato il personaggio più antipatico dell’intero show. Intendiamoci, Rick è il protagonista perfetto, uno con mille problemi, che è sempre costretto a prendere decisioni difficili e a subirne le conseguenze. Come dire, siamo tutti innamorati di Daryl, ma in cuor nostro sappiamo che non potrebbe mai essere il protagonista.
Allo stesso tempo, però, vuoi per infelici scelte di atmosfera (tipo le allucinazioni su Lory che parevano prese da una brutta fiction italiana), vuoi per snodi narrativi gestiti così così (l’addio a Carol troppo rapido e superficiale), vuoi per certi demeriti specifici dell’attore, fatto sta che Rick ormai ci sta proprio sui coglioni. Lui e quella specie di piattola del figlio, espressivo come la mia ascella destra. Non che Carl ci sia mai stato simpatico, ma ora lo vorremmo proprio prendere a cinghiate sulla schiena.
Adesso la divisione del gruppo porterà vantaggi e svantaggi: da una parte l’attenzione si sposterà maggiormente tra i vari personaggi, ma dall’altra le scene con Rick e il figlio saranno dei mattoni allucinanti fatti di lunghi sguardi silenziosi, frasi sdolcinate da drama di Lifetime, e momenti di rivelazione introspettiva delicati come un cinghiale.
Però sai che c’è? Chissenefrega. La prigione è caduta, la speranza è morta, il gruppo non c’è più, e ora c’è solo da lottare con le unghie e con i denti, senza mura e senza orticello, in cerca di un nuovo rifugio che, lo sappiamo, non sarai mai definitivo. E noi, comodi comodi sul nostro divano, attendiamo con ghigno satanico le prossime sfighe.
Appuntamento a febbraio.
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