27 Settembre 2013 7 commenti

Brooklyn Nine Nine – La comedy poliziesca dagli autori di The Office e Parks and Recreation di Marco Villa

Una comedy a cui dare fiducia

Copertina Pilot, Pilot

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Di pilot non esaltanti per serie belle è piena la storia della televisione. Senza andare troppo lontano, si può parlare di Parks and Recreation, che, dopo una prima mini-stagione di sei episodi carini-e-nulla-più, è decollata diventando un classico istantaneo e un pilastro delle nuove comedy. Considerate che Brooklyn Nine Nine è creata da due degli autori di Parks and Recreation e capirete perché è il caso di darle fiducia nonostante un pilot così così, anzi, pure un po’ peggio.

brooklyn-nine-nine-trailer-andy-samberg-joe-lo-truglio-foxCome Parks and Recreation e come The Office ancora prima, Brooklyn Nine Nine (in onda su Fox dal 17 settembre) è il racconto di un posto di lavoro pieno di persone imbecilli. In questo caso si tratta di un distretto di polizia di New York, ma è davvero un caso: sarebbe potuto essere un ospedale e non sarebbe cambiato nulla. L’elemento davvero importante sono i personaggi e tutti i modi che hanno per rendersi ridicoli. Personaggio principale è Jake Peralta, detective estremamente talentuoso, ma anche un idiota di rare dimensioni. Non sto esagerando: Peralta non è semplicemente lo scemo pazzerello che fa tanta simpatia, è veramente un enorme cretino, incapace di stare serio per più di mezzo secondo. Accanto a lui una serie di colleghi-macchiette: la donna-poliziotto super aggressiva che fa paura a tutti; il detective senza spina dorsale che ne è irrimediabilmente innamorato; la centralinista a cui non frega nulla della polizia e cazzeggia tutto il giorno e via così, con l’aggiunta di Terry Crews a fare il poliziotto grande, grosso e bonaccione. A capo di tutti un capitano rigidissimo (Andre Braugher, già generale, il cui comportamento fa ovviamente a pugni con l’andazzo generale della baracca. Lo capite da voi: non è il concept di una serie rivoluzionaria: il bello sta nello stile surreale con cui vengono ridicolizzati i protagonisti.

brooklyn_nine_nineIl detective Jake Peralta è interpretato da Andy Samberg, comico che è stato per sette stagioni nel cast del Saturday Night Live. E Andy Samberg è il vero dentro/fuori di questa serie. Nel pilot, Samberg si mangia tutto il resto: sempre sopra le righe, il suo personaggio catalizza l’attenzione in modo davvero eccessivo, al punto da far venire voglia di chiedergli di spostarsi per poter vedere la serie. Tutte le altre figure restano sullo sfondo e il risultato è avere un personaggio estremo come protagonista. Per intenderci, sempre usando Parks and Recreation come termine di paragone, sarebbe come avere Jean Ralphio protagonista: non si può, non va bene, si tratta di personaggi volutamente oltre, in grado di scompaginare tutto con il loro ingresso in scena e di far ribaltare dal ridere, a patto però che si tratti di interventi limitati nel tempo. Nel pilot, invece, Peralta è sempre al centro e quindi sta tutto allo spettatore: se lo stile di Samberg piace, bene. Altrimenti tanta stima per esserti sposato Joanna Newsom e tutti a casa.

Per fortuna il secondo episodio rimette a posto le cose: il personaggio di Samberg è più imbrigliato ed emergono con forza anche i comprimari, le vere fonti di divertimento. Se il primo episodio era sostanzialmente una presentazione dei personaggi, nella seconda puntata si inizia davvero a ridere in alcune situazioni e la speranza è che questa crescita si mantenga costante nel corso della stagione. Come da tradizione, gli ascolti sono peggiorati dopo il pilot, ma è fisiologico, salvo casi di exploit da punto esclamativo.

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Brooklyn Nine Nine è una comedy del nuovo corso, di quelle che rinunciano a multicamera e risate finte e provano a seguire la strada tracciata da serie come Community e la già multicitata Parks and Recreation, da cui provengono gli autori Dan Goor e soprattutto Michael Schur (creatore di Parks e al lavoro anche su The Office). Lo stile è quello, pur con la rinuncia – doverosa – al meccanismo del mockumentary con le finte interviste in stile-documentario. Tra primo e secondo episodio la differenza è palpabile: dovesse continuare a migliorare così, ora di maggio avremmo in mano un mezzo capolavoro. Dai dai dai.

Perché seguirlo: per il pedigree degli autori e per una serie di personaggi di contorno che promettono tanto

Perché mollarlo: perché al momento non ci si ribalta certo dalle risate e perché Andy Samberg rischia di essere una presenza troppo ingombrante

 



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