True Blood – Sesta stagione: bene eh, ma s’è fatto meglio di Diego Castelli
Qualche errore di troppo per i nostri amici vampiri
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ATTENZIONE!!!!! NON LEGGETE SE NON AVETE VISTO IL FINALE DELLA SESTA STAGIONE!
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Ormai guardare True Blood (e scriverne, e parlarne) è un po’ come andare sulle montagne russe. Stagioni, episodi e scene riuscitissimi si alternano a stagioni, episodi e scene più macchinose o apertamente a cazzo di cane. Giunti al sesto anno, col settimo già approvato da HBO, ne abbiamo viste di cotte e di crude, e ormai non ci stupiamo (quasi) con niente.
L’anno scorso avevo finito la stagione cinque bello gasato, perché il miglioramento rispetto alla quarta era stato evidente: storia più intrigante, nuovi personaggi azzeccati, storie di contorno interessenti quanto la principale. Quest’anno, nel complesso, temo di dover registrare un calo.
E’ un peggioramento che si muove in due direzioni tra loro collegate: da una parte una certa debolezza intrinseca dei vari fili narrativi, su tutti le vicende di licantropi e mutaforma, inutili ben oltre la noia. Dall’altra parte, e soprattutto, è come se la serie non fosse riuscita a stare al passo con le proprie promesse. Perché vedere Eric che sul finale di stagione cinque urla “Ruuuun” verso Sookie, mentre di fronte a lui un Bill coperto di sangue e trasformato in divinità minaccia casini a non finire, ci aveva lasciato un’acquolina in bocca non indifferente.
Ecco, tutta la faccenda di Bilith ci ha dato un po’ meno del previsto. Troppo riflessiva ma contemporaneamente poco approfondita nelle dinamiche divine del buon vecchio Compton (vi ricordate invece quante cose fighissime era in grado di dire la buonanima di Godric sul suo essere un vampiro ormai “oltre”?). Diciamo che pensavamo di rimanere sconvolti, e forse sconvolti non siamo.
Con questo non voglio dire che si sia tornati indietro fino alla stagione quattro, che è probabilmente il punto più basso (o meno alto, vedete voi) raggiunto finora dalla serie. Perché comunque le nostre belle cosine le abbiamo viste: la morte di Terry, finale coerente ed emotivamente molto carico di una storia che era giusto concludere così; la guerra tra umani e vampiri, che nelle dinamiche della prigionia, dell’alterazione del True Blood e della concreta minaccia alla vita di praticamente tutti i protagonisti, ha regalato più di un’emozione; il percorso di Eric, che mai come in questa stagione è stato sviscerato e approfondito, con risultati non sempre ottimi (vedi la puntata della morte della sorella, in cui piange troppo e male), ma di grande impatto sulla storia più globale e sul suo trionfo definitivo come figo assoluto del telefilm.
Tutte buone cose, che però si scontrano con quella che è la vera delusione di questa stagione: Warlow. Tutta la storia di Sookie promessa sposa vampira è stata sostanzialmente inutile, buttata via. Warlow non è mai riuscito a diventare un vero personaggione, alla Russell Edgington tanto per intenderci, e la vicenda sua e di Sookie ha avuto pochi sussulti, vuoi perché ormai siamo sempre meno disposti ad accettare il fatto che vadano tutti dietro a sta sfigata secchetta con finestre a due ante in mezzo ai denti, vuoi perché quando la cosa si è fatta interessante e potenzialmente violenta, Warlow è stato ucciso immediatamente dopo, in modo troppo (troppo) sbrigativo e “facile”. Un arco narrativo che ci ha lasciato poco, insomma, e che purtroppo finisce col gettare un’ombra di mediocrità su una stagione comunque capace di offrire qualche bello spunto.
Perché ormai, l’abbiamo già detto l’anno scorso, il vero motivo per seguire True Blood non sono più i grandi temi e le grandi storie. Che se ci sono è meglio, e se non ci sono per niente è un grosso problema. Ma il motivo per cui siamo ancora qui sono le creativissime puttanate che gli autori della serie riescono ancora a inserire nel tessuto della narrazione, con un gusto per l’eccesso che è da sempre firma dello show, e che ora è la robusta stampella su cui questo telefilm ormai vecchierello riesce ancora a reggersi in piedi.
In pratica ho messo un serial moment a settimana dedicato a True Blood. Ed era impossibile non farlo, perché ogni volta sono riusciti a infilare dentro qualcosa che non avevamo ancora visto o che non ci aspettavamo. Può essere una morte improvvisa, o il modo creativo e grottesco di uccidere qualcuno, o di strappargli i gioielli di famiglia.
In questo senso, anche il finale non proprio efficacissimo (per la goffa fine di Warlow, per certe scelte banali tipo “mi hanno succhiato troppo sangue e ora non sono più Lilith”, ecc), riesce a essere in parte nobilitato da alcune scene o immagini che difficilmente riusciremo a dimenticare, come i vampiri ninfomani che danzano al sole, ma soprattutto quell’Eric nudo sui ghiacci che è già diventato la copertina di facebook di numerose persone.
Tra l’altro, state tranquilli, perché Eric nella stagione sette ci sarà, come è stato confermato dallo showrunner Brian Buckner. Come faranno a giustificare la sua sopravvivenza è ancora da chiarire, ma ci vuol niente a far comparire una bella Pam in cima alla montagna, con coperta di amianto e tutto l’occorrente per salvare il suo maker.
Lasciamo dunque questa stagione con un po’ di inaspettata mestizia, o comunque con meno entusiasmo dello scorso anno, consci che più che di opportunità, il futuro è carico di problemi: l’ampio finale di episodio spostato in avanti di sei mesi ha avuto l’effetto di stuzzicarci con un po’ di curiosità (Bill romanziere, Sam sindaco), ma non ha piantato forti semi strutturali (non so se basteranno i vampiri con l’epatite, sorta di incrocio tra un Walking Dead e una serie ospedaliera); c’è da ridare smalto a un Bill che dopo essere diventato un dio ed essere tornato normale, non si capisce cosa avrebbe ancora da dare allo show; c’è da rinverdire qualche personaggio rimasto un po’ ai margini, tipo Lafayette o la stessa Tara; c’è da introdurre qualcuno che porti novità ma che non ci faccia rimpiangere Russell o il neo-defunto reverendo Newlin.
Insomma, tanto lavoro da fare, dopo un finale che a tratti è sembrato un series finale, più che un season.
Ma si riparte da quell’en plein di serial moments che non può che significare una cosa: True Blood è stanca, ma non ancora morta.