Ray Donovan – Tra Scandal e Banshee, comunque figo! di Diego Castelli
La nuova serie di Showtime parte in quarta
Quando scrivi/dirigi una serie tv, diventa importantissimo decidere come iniziare, perché nei primi minuti di un pilot uno spettatore può già decidere se venirti dietro o cambiare canale.
Ray Donovan, la nuova serie di Showtime, inizia con Jon Voight che spara in bocca a un prete dopo avergli dato del succhiacazzi. Diciamo che anche solo così si sono assicurati la mia fedeltà per quattro-cinque puntate almeno.
Jon Voight (come “chi è”? Una sconfinata carriera al cinema, ha vinto un oscar e vari golden globe, è il padre di Angelina Jolie… dai, su…) in realtà non è il protagonista. A dare volto al Ray Donovan del titolo è infatti Liev Schreiber, anche lui apparso un po’ dappertutto (più cinema che tv finora), e di recente visto nei panni di Sabretooth in X-Men le origini: Wolverine.
Ray è un “fixer”, uno di quelli a cui rivolgersi quando hai un problema scottante che vuoi risolvere in rapidità e discrezione, perché se si venisse a sapere ti rovinerebbe la reputazione o peggio. Una sorta di Mr. Wolf tarantiniano, con una clientela famosa e danarosa (perché i suoi servizi costano), che fa quasi pensare a una versione maschile della Olivia Pope di Scandal. Certo, le similitudini finiscono al lavoro di fixer, visto che Olivia Pope è una donnina fascinosa, determinata, stilosa e logorroica (come praticamente tutti i personaggi di Shonda Rhimes), mentre Ray è un irlandese duro, freddo, spesso silenzioso, capace di fracassarti la faccia senza neanche lasciarti il tempo di dire “per pietà no”. Un po’ più verso Banshee, insomma.
E c’è un’ulteriore similitudine con le serie appena citate: anche nel passato di Ray si agitano ombre misteriose. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare leggendo il concept, non siamo di fronte a una serie molto verticale, con casi di puntata da risolvere e un’ampia umanità di vip drogati, sessuomani e violenti da proteggere (e correggere). No, Ray Donovan sembra invece avere un’anima profondamente orizzontale, che accosta malignamente i due aspetti contraddittori della vita di Ray: la grande capacità di gestire i problemi degli altri, e la difficoltà a fare i conti con i suoi.
Ray ha una moglie (Paula Malcomson, già vista in Sons of Anarchy), due figli, due fratelli disagiati (uno alcolista e l’altro menomato), un fratellastro mulatto appena conosciuto e, soprattutto, un padre uscito ieri di galera e del cui passato in famiglia sappiamo poco, se non che fosse un vero bastardo.
Ecco che qui rientra Jon Voight, che come tante volte nella sua carriera interpreta il cattivo della situazione: l’80% della serie si basa sul rapporto tra Ray e suo padre, sul loro passato burrascoso, e sulla paura del protagonista che il suo vecchio possa mandargli a puttane la vita dignitosa che è faticosamente riuscito a costruirsi. E se non fosse abbastanza chiaro per chi dobbiamo patteggiare e chi dobbiamo tenere, la creatrice Ann Biderman (già mamma di Southland) piazza alcune scene inequivocabili, come quella in cui Ray decide di venire meno ai doveri verso il suo cliente per aiutare una povera vip in difficoltà, o come quella in cui Donovan senior si concede uno sguardo tra il lascivo e il satanico verso una madre che sta allattando.
Insomma, non si va per il sottile in Ray Donovan, e i pesi in campo sono piazzati in maniera piuttosto esplicita. Ma se pensate che questo possa rendere lo show banale, vi sbagliate. Anzi, la chiara ripartizione delle forze (al netto dei mille mila sviluppi che ci potranno essere) crea un quadro solido e chiaro, che lascia il cervello libero di apprezzare certi dettagli registici e recitativi che rendono la serie interessante fin dall’inizio.
Sarà che, pur apprezzando molto Scandal, volevo effettivamente una sua versione più cattiva e violenta, ma Ray Donovan ti tira subito dentro giocando tutto sul carisma del suo protagonista, insieme roccioso e potenzialmente fragile, impietoso coi bastardi e teneramente amorevole coi fratelli svantaggiati.
E’ uno di cui ti innamori dopo due battute, perché è il classico antieroe costretto a molti compromessi, ma capace di mantenere uno strano nocciolo di sporca moralità che riesce in qualche modo a fargli tenere la retta via. Tutto il contrario di un padre che per ora ci è stato venduto come il diavolo in persona, non solo nella sua accezione “malvagia”, ma anche in quella “infida”, di serpe velenosa che si insinua viscidamente in mezzo ai buoni spacciandosi per innocua fino a un attimo prima di mordere.
Il pilot di Ray Donovan è stato il più visto di sempre della storia di Showtime, anche grazie al traino della premiere di Dexter. Ed è un risultato che per ora si merita, non perché ci abbia mostrato cose mai viste né sentite, ma semplicemente perché è cazzuto e acchiappa. E a guardare questo episodio, così dritto e preciso, sembrerebbe facilissimo fare una serie cazzuta e che acchiappi, ma ogni serialmider sa per esperienza che non è affatto così.
Perché seguirla: violenza, tamarraggine e carisma in una solida cornice drammatica.
Perché mollarla: mi verrebbe da sconsigliarla alle ragazze, essendo chiaramente una serie più maschile, ma la verità è che alla mia ragazza è piaciuta moltissimo. Le cose sono due: o è un bel telefilm, o io devo cominciare a farmi delle domande.