King & Maxwell – La serie crime che in fondo chissenefrega di Diego Castelli
Non sapevano che fare, e han fatto una serie. Così, a tempo perso.
Siamo lievemente in ritardo con la recensione di King & Maxwell, nel senso che è già andato in onda un secondo episodio che non ho visto perché il primo mi è bastato.
Avete già capito dove andiamo a parare, quindi per chi vuole possiamo anche salutarci qui.
Se invece volete proseguire vi dico che King & Maxwell è la nuova serie crime di TNT, che sulla carta ha un pedigree non indifferente: il creatore è Shane Brennan (già padre di NCIS: Los Angeles), la storia si basa sui libri di David Baldacci (che è romanziere di discreto successo e figura anche tra gli sceneggiatori dello show) e ha per protagonista la giunonica Rebecca Romijn, che a noi fan degli X-Men ancora attizza la fantasia dai tempi in cui era tutta blu e cambiava aspetto a piacimento.
Rebecca interpreta Michelle Maxwell, che insieme a Sean King (impersonato da Jon Tenney) forma un duo di ex agenti segreti diventati bravissimi investigatori privati. Perché se sei un agente segreto non puoi che diventare un ottimo detective, visto che conosci tutti i trucchi del mestiere e la puoi mettere nel sacco perfino al governo.
Il concept della serie è tutto qui. Non è molto, ma potrebbe anche essere abbastanza. Voglio dire, parliamo di un poliziesco, lo sviluppo delle singole storie conta molto più dell’idea di base (che bene o male è sempre quella: uno o più tizi che risolvono casi criminali).
Ecco, purtroppo anche andando oltre il concept comprensibilmente banale non c’è moltissimo di che gioire. Non perché King & Maxwell sia orrendo: a TNT le serie le sanno fare, ed è difficile che tirino fuori proprio lammerda.
Però c’è davvero poco su cui basare un entusiasmo anche minimo.
I due protagonisti formano una coppia simpatica, spavalda, sempre pronta alla battuta per far vedere che sono più fighi degli altri. Purtroppo però le battute sono troppo telefonate, come se potessimo intravedere lo sceneggiatore che si arrovella dietro la telecamera per trovare qualcosa di divertente da dire.
Un primo problema viene dall’eccessiva somiglianza caratteriale tra i due: sarebbe sempre buona regola differenziare il più possibile i due protagonisti di un poliziesco, così da creare terreno fertile per litigi, incomprensioni, riconciliazioni e gag. Pensate a quanto funzionano, in questo senso, i protagonisti di Bones, o di Arma Letale.
Invece King e Maxwell sono troppo simili tra loro, potrebbero finire una le frasi dell’altro, e questo mina anche la potenziale (ed evidentemente ricercatissima) intesa sessuale tra i due. Perché non puoi legare a doppio filo un uomo e una donna senza mettere in conto che il pubblico li vorrà vedere insieme prima o poi. Anzi, tu sceneggiatore devi tenere presente questa componente e giocartela in modo furbo.
Qui invece la totale sovrapposizione dei due personaggi, che li rende di fatto la stessa persona, rende la prospettiva sessuale un filino incestuosa, se non masturbatoria, rovinando non poco l’atmosfera. A questo risultato contribuiscono anche i due attori, che nel pilot mostrano una chimica erotica pari a quella della coppia Costanzo-De Filippi.
Certo, questi problemi iniziali, a cui si può sicuramente trovare soluzione nel corso degli episodi, potrebbero passare in secondo piano di fronte a una storia incalzante e avvincente.
Ehm… anche qui nisba, perché il pilot di King & Maxwell sa essere parecchio noioso. Non che non facciano le loro belle indagini trovando i loro begli indizi e rincorrendo uomini vestiti da castori (perché lo fanno). Ma è tutto banalotto, già visto, persino troppo complicato, con un pilot tutto basato su reati tecnologici e informatici di cui si perde serenamente il filo.
Un vero peccato, insomma, perché in questi anni TNT ci ha abituati a una buona solidità narrativa, tra i Closer, i Falling Skies e i Franklin & Bash, che qui sembra annacquata in casi spompi e relazioni prevedibili.
E’ del tutto possibile (se non probabile) che la serie migliori nel tempo, anche a fronte di un inizio non brillante dal punto di vista degli ascolti (del tipo “ragazzi diamoci una svegliata che sennò ci chiudono”).
Ma il pilot mi ha sinceramente annoiato e, visto che già non sono un amante dei crime, per me basta così.
Ah no aspe, quasi mi scordo. Una bella cosa c’è: a dar manforte ai due protagonisti (anche se nel pilot è più quello da salvare) ci sarà anche Ryan Hurst, che mai e poi mai potremo dimenticare nei panni di Opie in Sons of Anarchy. Questo è un clamoroso plus per la serie, un colpo di coda finale che quasi mi ha convinto a vedere il secondo episodio. Poi però mi sono reso conto che in effetti Hurst non fa Opie, e che si è pure rasato la barba. A tutto questo dico no.
Perché seguirla: ha margini di miglioramento, Rebecca Romijn è Rebecca Romijn.
Perché mollarla: ha il colore, il sapore e l’odore dell’ennesima serie investigativa trita e ritrita, e neanche così frizzante.
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