The Killing 3 – Nuovi omicidi e maglioni sempre orrendi di Diego Castelli
Linden e Holder di nuovo in pista
Incredibile ma vero, siamo qui a parlare della terza stagione di The Killing.
E’ passato un anno dalla fine della seconda, e un osservatore distratto potrebbe non trovarci niente di strano, se non fosse che in questi dodici mesi lo show è morto – ma proprio morto – ed è poi risorto dalle sue stesse ceneri.
Merito, tra gli altri, di Netflix, che aveva cominciato a lavorare con Fox per una terza stagione “all-web” della serie (come fatto di recente per Arrested Development), finendo con lo stuzzicare la stessa AMC, poi rientrata nel progetto. Un po’ come quelli che mollano la fidanzata e si pentono quando la vedono limonare con un altro. Meno male che a Netflix sono promiscui e non si fanno problemi con le cose di gruppo…
Questa terza stagione rappresenta un nuovo inizio, dopo che il finale della seconda aveva portato a definitiva conclusione l’indagine sulla povera Rosie Larsen. E se erano servite due stagioni per raccontare un mesetto scarso di storia, ora abbiamo fatto un salto temporale di un anno, ritrovando un Holder in carriera (e vestito più decorosamente) e una Linden non più poliziotto che lavora sul fiume e fa la guardia ai passaggi a livello.
Niente paura, la serie non diventa una gaudente sitcom nel mondo dei battelli: in città cominciano a morire delle ragazzine e tutto farebbe pensare a un qualche collegamento con un vecchio caso di Sarah, di cui avevamo sentito parlare anche gli anni scorsi e che pareva ormai chiuso.
Quello che colpisce subito è un’immediata attenzione ai personaggi. Se la serie era cominciata concentrando tutto il fuoco sull’omicidio di Rosie, lasciando uscire poco per volta il vissuto dei due detective protagonisti, ora si inizia raccontando soprattutto la vita di Holder e quella di Linden, lasciando allo spettatore seriale il piacere di riappropriarsi di due personaggi assai gagliardi che aveva imparato ad amare alla follia.
Siamo persino felici nel vedere che Sarah ha trovato nell’impiego fluviale una qualche serenità, dopo che il lavoro da detective l’aveva quasi fatta uscire di testa.
Ovviamente, però, il serialminder è più sadico che tenero, e non vede l’ora di far ripiombare la rossa poliziotta in un turbine di indagini, ossessioni e patemi. Certo, Sarah avrebbe potuto rifiutare, continuando a lavorare con le barchette e lasciando a Holder il compito di farsi venire le paranoie sulle ragazzine uccise. Ma chiaramente non può esimersi dal tornare in campo, non tanto per chissà quale altruismo e senso di giustizia, ma proprio per quell’ossessione morbosa che è il vero motore del suo agire.
In questo senso, la terza stagione di The Killing rimette sul piatto tutto ciò che ci era piaciuto della prima. Le atmosfere cupe, il clima freddo e plumbeo, i silenzi pregni di morte e i detective spinti da un senso del dovere che sfocia presto nell’addiction. Se ci pensate, già nella prima stagione il delitto alla base della trama era quasi secondario. Non perché non ci interessasse sapere chi fosse l’assassino (che però è un desiderio classico per qualunque spettatore di gialli), quanto perché eravamo stranamente affascinati da questo mondo così oscuro e bizzarramente realistico, dove gli investigatori non riescono a risolvere i casi in quaranta minuti e dove la titolare dell’indagine non è una figa spaziale ma una donna tutto sommato normale con un guardaroba fitto di maglioni ridicoli.
Quest’anno l’interesse per gli omicidi (al plurale, come a suggerire che la faccenda sarà più complicata) è forse ancora meno forte, almeno in questa primissima fase, sovrastato dell’attenzione per i meandri della psiche dei personaggi. Oltre a Sarah e Holder, che rimangono caratteri di enorme fascino, si aggiungono nuove figure altrettanto interessanti, come la giovane Bullet, adolescente problematica, lesbica, piercingata e aggressiva, e la sua amica Lyric, giovanissima prostituta costretta a battere da un fidanzato odioso che vorrebbe fare il modello e in realtà è a stento un essere umano.
A guardare questi nuovi personaggi salta agli occhi una delle maggiori qualità di The Killing: quella di riuscire a creare figure piene di problemi, raramente simpatiche, spesso addirittura sgradevoli, ma verso le quali proviamo immediatamente un clamoroso istinto materno. E’ quello che accade subito con Bullet e Lyric, ragazzine difficili perché cresciute in un mondo orrendo, e che ora si troveranno ad affrontare eventi ancora più traumatici: quando Bullet va in giro a cercare un’amica scomparsa, che già sappiamo essere morta, proviamo un’istintiva stretta al cuore, anche se nel mondo reale una così ci metterebbe quantomeno a disagio (con tutto il rispetto per le lesbiche piercingate e dal brutto carattere che stanno leggendo questo post: vi vogliamo bene come agli altri). Bullet e Lyric sono molto più simpatiche del figlio di Sarah, per esempio, che ancora oggi conserva quel visino fastidioso da bimbetto rompipalle.
E in ultimo arriva Ryan (interpretato da un ottimo Peter Sarsgaard), l’uomo che Sarah aveva fatto arrestare anni addietro, e che ora forse si rivelerà innocente. Ryan è nel braccio della morte, sarà giustiziato a breve (giusto per mettere fretta alle indagini di Linden), e non ha esattamente i modi di un non-colpevole: è violento, viscido, manipolatore e poco sano di mente. Ma ancora una volta va protetto, perché probabilmente è “non è stato lui”, e il desiderio (anzi, la necessità) di salvarlo dalla morte pur avendolo in odio sarà ulteriore fonte di stress per la nostra protagonista.
Insomma, siamo ripartiti bene, con tutti gli ingredienti narrativi e di messa in scena che ci avevano fatto apprezzare The Killing dopo il pilot di due anni fa. Oddio, a dirla tutta non si vede la componente politica, ma non se ne sente minimamente la mancanza.
L’unico appunto che mi sento di muovere riguarda la scelta del doppio pilot: già The Killing è forse la serie più lenta tra le serie lente di AMC (se la gioca con Breaking Bad), una premiere di un’ora e mezza tende ad atrofizzare i testicoli di chiunque.
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