Rectify – Dopo vent’anni nel braccio della morte non stai tanto bene di Marco Villa
Serie molto interessante, che rischia solo di piacersi troppo
Un uomo nel braccio della morte per vent’anni, condannato per stupro e omicidio della sua ragazza sedicenne. Una condanna a morte fissata cinque volte e cinque volte rinviata, per dei ricorsi legali. Poi, dal nulla, arriva un test del DNA mai realizzato e che fa saltare l’intero processo. Attenzione: fa saltare il processo, non stabilisce l’innocenza del condannato. Questa è la storia di Daniel Holden, questa è Rectify, prima serie prodotta da Sundance Channel, canale televisivo legato al più celebre festival di cinema indipendente del mondo.
La forza di Rectify è evidente già dalle poche righe introduttive. Da una parte c’è il fascino e la potenza drammatica della storia di un uomo imprigionato per vent’anni con il pensiero continuo della morte, dall’altra il dubbio dei dubbi: ma Daniel Holden è colpevole o innocente?
Su queste premesse, il primo episodio di Recitfy è qualcosa di più che interessante. Rectify è una serie che fin dal pilot promette di scavare soprattutto nelle psicologie dei personaggi, lasciando a queste il compito di portare avanti una narrazione che si suppone prevalentemente orizzontale.
C’è la storia del protagonista e a cascata quelle delle persone che gli gravitano intorno. Prima di tutti i famigliari, che avevano fatto ormai pace con l’idea di non rivederlo più girare per casa. Famiglia con fratellastro incluso, che si vede arrivare tra le palle uno che non ha mai conosciuto e che potrebbe rubargli il posto di comando nel negozio gestito da padre e madre. E famiglia con sorella inclusa, una un po’ non riconciliata in perfetto stile Sundance, che potrebbe stare in qualche film italiano di provincia. E poi ci sono i cattivi: trattasi di sceriffo e accoliti, convinti vent’anni prima della colpevolezza di Daniel e sicuri ancora oggi che la condanna fosse strameritata. Che poi tanto cattivi potrebbero non essere, visto che il dubbio sulla vicenda dello stupro e omicidio rimane fortissimo nel primo episodio e, si spera, anche in futuro.
Non è tutto una bomba, però. L’attenzione spasmodica alle psicologie finisce infatti per rallentare il ritmo. Il pilot di Rectify soffre di una evidente lentezza e l’intera serie rischia di essere etichettata come una di quelle che della propria lentezza si bea alla grande. Ancora: la caratterizzazione del protagonista è fantastica (sorta di monaco zen che si astrae da tutto per mantenere una sua sanità mentale dentro la prigione, ma che vede andare in frantumi i propri equilibri psichici una volta scarcerato), quella degli altri personaggi un po’ meno e a volte tagliata con l’accetta (il già citato fratellastro). Detto questo e fatti gli scongiuri nella speranza che quel compiacimento da lentezza non affossi la serie, il pilot è senz’altro da vedere e Rectify – già rinnovato per una seconda stagione – potrebbe diventare una serie molto figa. Io ci provo a vederlo eh, ma se poi inizia la stagione delle birrette in giro mica è colpa mia.
Perché seguirlo: per la caratterizzazione del personaggio e per quel bellissimo punto di domanda sulla sua innocenza o colpevolezza
Perché mollarlo: perché oggettivamente molto lento. Ma molto molto. E forse anche compiaciuto di tale lentezza. E questo è peccato mortale.