Finale Shameless 3 – Quando arrivò la realtà di Diego Castelli
Il season finale più maturo per la serie di Paul Abbott
E’ finita anche la terza stagione di Shameless, e ci sentiamo immediatamente più poveri. Ad aprile 2013 valgono ancora le parole che Marco Villa spese nell’aprile 2012: è passato un anno, ma Shameless non ha perso una virgola del suo status di serie unica, miscuglio pressoché perfetto di humour nero, dramma familiare, critica sociale e laboratorio di esperimenti di surrealtà.
La terza stagione ha confermato e proseguito il percorso già tracciato dalla seconda: un’evoluzione dei personaggi e delle loro storie capace di creare una narrazione insieme solida e densissima, che ci lascia con l’impressione di aver visto cinque stagioni da venti episodi, piuttosto che una da poco più di dieci. Anche la vicenda di Frank che denuncia i figli ai servizi sociale, che a inizio stagione mi sembrava essere un potenziale filo conduttore, in realtà è solo un ingranaggio di un meccanismo ben più grande.
Ancora una volta abbiamo la sensazione di aver visto davvero di tutto: praticamente ogni personaggio ha avuto una sua sottostoria dedicata, e mica una storiella a cazzo di cane tanto per riempire dei minuti, bensì avvenimenti uno più interessante dell’altro, tanto che spesso non si riesce davvero a decidere chi sia il protagonista di Shameless: forse Frank, con la sua filosofia di vita da barbone per scelta e le assurde vicende legate al suo breve ma significativo impegno politico; magari Fiona, con i tentativi di trovare un lavoro stabile e la volontà di diventare la vera “madre” dei suoi molti fratelli. Potrebbe essere Jimmy, sempre più immerso e infine sconfitto dalle sue frequentazioni criminali. E che dire del solito Lip e del suo tentativo di trovare un equilibrio tra una mente geniale e un contesto socio-parentale del tutto folle? Stesso discorso per Ian, che malgrado l’amore per quel coglione di Mickey riesce a comprendere la necessità di andarsene da un ambiente che lo limita e lo mortifica, salvo poi trovare una via d’uscita solo tramite l’imbroglio (e chissà cosa succederà).
E potrei andare avanti, perché la storia di Sheila non è da meno, Veronica e Kevin fanno fuochi d’artificio, e c’è tanto spazio anche per il piccolo Carl, protagonista di numerose avventure tragicomiche. Insomma, qui a Serial Minds ci troviamo spesso ad elogiare serie molto minimali, vedi i Breaking Bad o i Mad Men, dove può succedere poco in termini concreti ma molto in termini psicologici ed emozionali. Con Shameless dobbiamo fare un discorso opposto, entusiasmandoci per le iperboli, per l’accumulo, per una mole gigantesca di stimoli narrativi, comici, psicologici, persino sensoriali, visto che alle volte a guardare Frank ci viene proprio schifo.
Ciò che più sorprende, però, è che questa quantità di avvenimenti e dettagli è sempre perfettamente strutturata: non c’è mai nulla fuori posto, e l’apparente caos si rivela essere un orologio svizzero in termini di sviluppo narrativo e forza logica.
In questa architettura solidissima mascherata da scemenza pura, Shameless non è apparso tanto diverso dalla stagione scorsa. Certo, potremmo citare le scene più efficaci e cercare di capire se nel complesso è andata meglio o peggio dell’anno passato, ma mi pare un esercizio sterile.
Quello che mi preme sottolineare, concentrandoci specificamente sul finale, è che più di altre volte c’è stato un forte ingresso della realtà. Shameless è per natura esagerata e “oltre”, e finora il suo realismo è rimasto quasi sempre confinato alla componente psicologica: succedono cose assurde che però si riflettono in sentimenti e riflessioni che sentiamo essere “veri”.
In questo finale, invece, succedono alcune cose che ci appaiono proprio reali, plausibili. Questo concetto gira prima di tutto intorno a Frank: solitamente papà Gallagher è una sorta di cartone animato, uno a cui succede di tutto ma che è sempre in piedi, sempre pronto per la prossima bevuta, e sempre interessato solo ed esclusivamente al suo personale tornaconto.
Questa volta non solo Frank riesce a mostrare un tratto di affetto e umanità nei confronti del figlio che mai si era visto prima d’ora (nei avevamo parlato nei moments di settimana scorsa), ma perde anche il suo status di invincibile Will Coyote. Nel finale finisce in ospedale, ma ci finisce sul serio, non come quando nei cartoni animati il personaggio di turno viene colpito da un martello e immediatamente dopo ha un cerotto in fronte. No, Frank vomita due litri si sangue e finisce in un ospedale vero dove gli viene fatta una diagnosi ancora più vera: se non smette di bere e non si dà una regolata, finirà per lasciarci la pelle.
E’ un passaggio non sbandierato, ma comunque evidente: Frank in ospedale, con Fiona che per la prima volta piange per il padre riconoscendolo implicatamente come genitore, è una botta di realtà non indifferente, è uscire dalla logica della comedy per entrare davvero, come mai prima d’ora, nel dramma.
E non riguarda solo Frank: riguarda Lip che inizia davvero a pensare a un futuro accademico fuori da quella bolla di degrado che è il suo quartiere. Riguarda Ian, che quel passo verso l’esterno lo compie sul serio. E riguarda Fiona, sia per quanto appena detto nei confronti di Frank, sia in quelli di Jimmy: il (momentaneo?) finale della storia d’amore non è un’esplosione di minchiate roboanti, è una ragazza che lascia in segreteria qualche messaggio infuocato e poi decide che è ora di andare oltre. La botta di realtà c’è per lo stesso Jimmy: i siparietti col sicario ci avevano abituato a una situazione sì pericolosa, ma anche comica. Invece Jimmy viene portato sulla barca del suocero mafioso e sparisce. Ma sparisce sul serio, non lo vediamo per l’intero episodio, e alla fine non sappiamo praticamente nulla di lui: niente simpatia, niente faccette simpatiche, solo un povero cristo scomparso tra le mani della malavita, che ha lasciato dietro di sé soltanto una busta piena di soldi.
Come vedete, si torna sempre lì: dopo un’altra stagione all’insegna dell’eccesso, gli autori di Shameless hanno organizzato un finale in cui entra in gioco una grande dose di realtà, che paradossalmente finisce con l’essere persino più forte della finzione. Non credo che questo possa significare un cambio di rotta da parte della serie, che giocoforza rimarrà (anche) quel gran cumulo di follie trash che è sempre stata. Ma inserire i personaggi in un contesto improvvisamente più verosimile, dove gli alcolizzati muoiono di cirrosi, i mafiosi fanno davvero sparire la gente, e dove esistono veri lavori con veri stipendi e vera noia, dà improvvisamente più spessore a queste figure apparentemente così sopra le righe, ma allo stesso tempo così concrete. Da personaggi, diventano persone.
E che fai di fronte a una cosa così, non applaudi?
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